Riesportazione armi, sì con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza
Metà mozione adottata dalla Camera bassa a Berna ma sono scarsi gli effetti concreti della presa di posizione parlamentare.
Anche oggi la spinosa questione della riesportazione delle armi fabbricate in Svizzera, sottoposta a rigide limitazioni in omaggio al principio delle neutralità elvetica, ha fatto di nuovo la sua comparsa in Parlamento, dove si stanno concentrando le pressioni, interne e internazionali, che si riverberano dal sanguinoso conflitto in corso in Ucraina.
Una congerie di atti parlamentari rimbalza da settimane tra commissioni e plenum, proposte di vario tenore vengono approvate e successivamente si arenano o vengono spezzettate e ritoccate di continuo.
Dal profilo politico non si riesce a trovare una via condivisa per giungere a una sintesi di tutte le proposte che aleggiano da mesi dentro Palazzo federale. Verosimilmente non solo per ragioni di ordine giurico-formale.
Lunedì un ulteriore tentativo di allentamento dei criteri legali per far pervenire armamenti a Kiev era stato spazzato via dalla Camera alta. La novità odierna è data dalla mozione, o meglio della prima parte di una mozione, passata di stretta misura (98 voti contro 96) al Consiglio Nazionale con cui si invita il Governo a consentire l’invio di armi qualora questo fosse supportato da una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU con cui si accerta una violazione del divieto dell’uso della forza ai sensi del diritto internazionale.
Una previsione sicuramente di alto valore simbolico ma dall’inesistente efficacia concreta. Come si sa, questo organismo è costantemente paralizzato dal diritto di veto su ogni decisione che hanno le cinque principali potenze mondiali (USA, Russia, Regno Unito, Francia e Cina): in merito alla crisi nell’Est Europa Mosca continuerà ovviamente ad avere questa arma a sua disposizione.
Un impatto ben diverso avrebbe avuto l’approvazione della seconda parte dell’atto parlamentare – che è stato invece respinto con 117 voti contro 78 – che avrebbe consentito al Consiglio federale di revocare il divieto di riesportazione anche nel caso in cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite avesse riscontrato, con una maggioranza di due terzi, una violazione del divieto internazionale sull’uso della forza (il governo avrebbe comunque potuto mantenere l’interdizione di riesportazione se l’abrogazione dovesse pregiudicare un interesse prioritario della politica estera svizzera).
In proposito la maggioranza del plenum – in particolare il centrodestra – ha fatto notare che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite non può adottare decisioni giuridicamente vincolanti, come nel caso del Consiglio di sicurezza. Un aspetto sottolineato anche dal consigliere federale Guy Parmelin, secondo cui la legittimità di questa istanza non è sufficiente: in pratica finirebbe per prevalere sempre il diritto della neutralità (che prevede la parità di trattamento dei belligeranti).
Altri sviluppi
La riesportazione di armi resta vietata
La situazione cambierebbe qualora il Consiglio di sicurezza riconoscesse una violazione dell’uso della forza basandosi sul capitolo VII dello statuto delle Nazioni Unite in cui si ordinano o autorizzano misure militari: in questo caso sarebbe già oggi possibile per l’esecutivo allentare le regole riguardanti la riesportazione di materiale bellico, ha sottolineato il consigliere federale UDC, anche se ad oggi non sono mai state adottate risoluzioni del genere.
Quindi, per riassumere, se formalmente si è assistito a una vittoria assai parziale e contenuta dei fautori di una neutralità aggiornata e interpretabile in funzione delle contingenze concrete, nella sostanza l’hanno spuntata ancora una volta gli oppositori (di destra) a qualsiasi ridimensionamento delle condizioni per la riesportazione diretta o indiretta di materiale bellico prodotto nella Confederazione, che a loro giudizio è contraria alla neutralità. Concetto questo che a loro avviso non ammette interpretazioni a geometria variabile.
Per l’UDC vallesano Jean-Luc Addor (UDC/VS), ad esempio, la mozione è stata presentata sull’onda dell’emozione per l’attacco russo e su pressione dall’esterno. Ma la Svizzera, ha continuato, farebbe bene a tenersi lontana da questa guerra – “che non è la nostra” – che vede affrontarsi in realtà la Russia, da una parte, e la NATO/USA dall’altra, con l’Ucraina presa fra due fuochi. Sulla prima parte della mozione tocca ora ai “senatori” esprimersi ma il loro orientamento, alla luce di precedenti prese di posizioni, sembra piuttosto chiaro.
Va ricordato che diversi Paesi – Germania, Spagna e Danimarca – hanno domandato alla Confederazione di poter riesportare verso l’Ucraina materiale bellico elvetico che detengono nei loro arsenali ma per ragioni legate alla neutralità, il Governo ha finora respinto tali richieste.
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