Il linguista svizzero che studiò come cambia l’italiano da città a città
Sessant'anni fa, lo svizzero Robert Rüegg indagò le variazioni regionali della lingua italiana parlata nelle città. Una ricerca innovativa della quale pochi, al tempo, colsero il valore e che soltanto di recente è stata pubblicata in italiano. Perché? Intervista al linguista e docente Sandro Bianconi, che ne ha curato la traduzione.
‘Sulla geografica linguistica dell’italiano parlato’ è la tesi di laurea, datata 1956, del linguista e ricercatore svizzero Robert Rüegg. È stata pubblicata a fine 2016 dall’editore Franco Cesati in cooperazione con l’Osservatorio linguistico della Svizzera italiana (OLSICollegamento esterno), che lo distribuisce gratuitamente in versione e-book quiCollegamento esterno.
A seconda di dove ci si trova…
… ci si sposa scambiandosi: la fede, la vera, l’anello matrimoniale, l’anello benedetto o la verghetta, in presenza di: un testimone, un compare, compare di fede o compare d’anello. Si va poi a vivere in un: appartamento, quartino, quartiere, alloggio o quarto.
La pelle: prude, fa prurito, pizzica, gratta, rode, fa il pizzicorino o morde. Di notte: si russa, si ronfa o si ronfia. Le ciliegie hanno: un nòcciolo, nocciòlo, osso, un’armella o una ghianda. L’auto si parcheggia in: autorimessa o garage [esempi tratti dalle pagg. 92 e segg. del libro].
Pionieristico e incompreso
Rüegg, studente di filologia romanza all’Università di Zurigo, al tempo non fu capito. Aveva tentato di delineare dei confini geografici dell’italiano parlato allestendo, senza poter contare su modelli esistenti, un questionario di 240 domande sottoposto a circa 120 informatori. Non avendo fondi per attraversare la Penisola, aveva fatto capo a emigrati italiani a Zurigo e studenti della Normale di Pisa, provenienti dai principali centri d’Italia da Palermo a Milano, più qualche voce dalla Svizzera italiana.
Si era reso conto che variazioni linguistiche non affioravano solo tra dialetti ma anche come differenze lessicali nella lingua unitaria. Il suo studio prese in considerazione anche la letteratura e il cinema, nei quali stava entrando, man mano, l’italiano parlato, quotidiano. Proprio in questi ambiti avrebbe voluto approfondire la sua ricerca, ma i suoi stessi professori non lo incoraggiarono a continuare.
L’attenzione di De Mauro
Tutto quel che si sapeva di ‘Sulla geografia…’, era quanto Tullio De Mauro ne riferiva in ‘Storia linguistica dell’Italia unita’ (1963). Il compianto, illustre linguista aveva letto una breve recensione della tesi di Rüegg e ne aveva tenacemente cercato una copia, che trovò infine nella biblioteca dell’Università di Tubinga e gli confermò il valore dello studio.
De Mauro, intervistatoCollegamento esterno dalla Rete Due della Radio svizzera RSI, rileva come il focus della ricerca fossero per la prima volta i parlanti, le persone, i loro comportamenti linguistici e la ricostruzione del loro patrimonio lessicale. “Veniva fuori lo sforzo che si stava compiendo allora in Italia, di costruire al di fuori della lingua letteraria, nella quotidianità, un terreno comune, delle forme capaci di essere comprese da Palermo a Milano”.
Tullio De Mauro incontrò di persona Robert Rüegg. Lo descrive come un ricercatore mite, che dopo aver sofferto per essere stato incompreso e respinto dall’ambiente accademico si apparta a Schiers, in Prettigovia, e scrive un’imponente operaCollegamento esterno di cultura popolare, un inventario delle iscrizioni sulle case.
A tracciare il ritratto di Rüegg (1920-2008) nell’introduzione a ‘Sulla geografia linguistica dell’italiano parlato’ è però il figlio Mathias, musicista. In una lettera a sua figlia Naima -nipote di Robert- parla di un uomo serio e dotato ma anche spiritoso, sportivo, vitale, amante della letteratura e della musica classica.
Tvsvizzera.it: Sandro Bianconi, perché quest’opera non è mai stata tradotta in italiano in sessant’anni?
S.B.: Il tedesco non è lingua molto praticata tra i linguisti in Italia. Tullio De Mauro, negli anni Settanta, aveva fatto dei passi per vedere se qualcuno poteva assumere il compito in Svizzera. Io, in quel momento, avevo altre preoccupazioni: stavo scrivendo ‘Lingua matrigna’. Poi, con più tempo a disposizione, mi sono reso conto del carattere pionieristico della tesi di Rüegg, che anticipava quella che sarebbe stata una linea di ricerca sull’italiano parlato comune.
Alle considerazioni scientifiche, se ne aggiunge una di carattere umano. Avevo verificato come i grandi professori di romanistica a Zurigo avessero esiliato quel libro in una collana qualsiasi di un’università tedesca; non avevano diffuso né promosso l’opera nei canali classici della romanistica svizzera, Vox RomanicaCollegamento esterno e i Romanica HelveticaCollegamento esterno. Ho quindi sentito il bisogno di rivalutare anche la figura umana di Rüegg: quello smacco, che lui sentì profondamente, gli causò una crisi esistenziale.
TVS: Perché il lavoro di Rüegg si concentrò sulle città?
S.B.: Questo è uno degli aspetti innovatori della sua opera. Era cosciente che si trovava in un momento di transizione sociale di grandissima importanza. Un momento di passaggio da una realtà rurale, artigianale, a una di tipo urbano, con i mass media (i giornali, la radio e la nascente televisione) che cambiavano radicalmente i dati di partenza della realtà linguistica e provocavano cambiamenti epocali, prioritariamente in contesto urbano.
La conferma della giustezza del suo lavoro l’abbiamo in una raccolta di studi del 2013, La lingua delle cittàCollegamento esterno, dove si riprendono le impostazioni di Rüegg (pur applicate con mezzi e personale più adeguati): la città come luogo dove la ‘langue’ [intesa come insieme di convenzioni linguistiche che rendono possibile la comunicazione] viene interpretata e realizzata attraverso la ‘parole’ [l’atto, la facoltà individuale del parlare].
TVS: La televisione darà un grande impulso allo sviluppo dell’uso parlato dell’italiano. Il dialetto, dal dopoguerra, lascia sempre più spazio alla lingua unitaria, anche in ambito familiare e quotidiano. Possiamo dire che Rüegg indaga l’italiano parlato sul nascere?
S.B.: L’italiano parlato esisteva già, evidentemente. Ma la linguistica italiana non se ne era mai occupata. I glottologi studiavano i dialetti -da tutti i punti di vista- oppure si occupavano della lingua scritta, in particolare di quella letteraria. Tra i due estremi non c’era lo spazio, l’attenzione o la volontà di documentare come l’italiano venisse parlato nella quotidianità.
Rüegg aveva questa sensibilità e preoccupazione che anticipavano i tempi. Indagò i mutamenti della lingua nelle dimensioni che saranno proprie delle ricerche successive, cioè: la variazione socio-culturale, la variazione nel tempo, la variazione geografica e la variazione stilistica.
TVS: La ricerca di Rüegg è un lavoro incompiuto. Come sarebbe dovuto proseguire?
S.B.: I materiali raccolti avrebbero dovuto permettergli, con ulteriori indagini, di generalizzare la parte più interessante del suo discorso, relativa ai geosinonimi, che ha approfondito in maniera notevole dal punto di vista culturale e della storia delle parole [Rüegg, per questa analisi, scelse 10 lemmi sui 240 di partenza dell’indagine]. Avremmo avuto un’opera unica, ricca e documentatissima di una fase ben precisa della storia dell’italiano di metà del Novecento.
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