Salario minimo, “9 euro all’ora non bastano per vivere in Italia”
Per l’economista ticinese Sergio Rossi la misura avanzata delle opposizioni, che potrebbe penalizzare nell’immediato le piccole aziende, è destinata ad avere effetti positivi a medio-lungo periodo sull’economia e sulla finanza pubblica. Il confronto con gli altri Paesi.
La proposta per una paga oraria minima depositata lo scorso 4 luglio da Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Alleanza Verdi-Sinistra e Azione (ma non Italia Viva) sta agitando il dibattito politico in Italia in queste settimane. Il Governo, che preferisce agire sul piano della detassazione del costo del lavoro (cuneo fiscale), combatte aspramente l’unica iniziativa su cui le opposizioni – che finora per molti commentatori e commentatrici “non hanno toccato palla” – sono riuscite a trovare una convergenza.
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Salario minimo, in Svizzera c’è già in cinque cantoni e non è finita
Sulle implicazioni politiche e giuridiche della proposta in Italia e in Svizzera, fa luce l’articolo correlato. L’aspetto che merita di essere analizzato riguarda la portata concreta, in termini quantitativi, di un salario minimo fissato a 9 euro lordi l’ora e le sue conseguenze economiche.
Per inquadrare la questione, è utile osservare che nel confronto internazionale una soglia di 9 euro l’ora porrebbe l’Italia in posizioni elevate nelle classifiche internazionali, non tanto in termini assoluti ma nel confronto con le remunerazioni mediane. Se infatti i teorici circa 10 dollari l’ora che potrebbero essere fissati in Italia come retribuzione minima sarebbero superati, in base ai dati 2021 dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE)Collegamento esterno da almeno nove paesi – Lussemburgo (15,2 dollari), Lussemburgo (15,1) in Australia, Nuova Zelanda (14 dollari) e via via altri sei Paesi tra cui Germania, Francia e Regno Unito – il discorso cambia significativamente in rapporto alla scala salariale interna.
Rispetto al salario mediano di 12 euro l’ora (dati INPS), i 9 in discussione alle Camere a Roma rappresentano il 75%, vale a dire la percentuale più alta a livello mondiale dopo Colombia (91%) e Costa Rica (81%), e soprattutto al vertice in Europa (il Portogallo è attualmente in testa con il 66%). Sotto il profilo sociale sembra quindi che la soglia di 9 euro lordi possa avere una certa rilevanza, come peraltro recenti sondaggi tra la popolazione, anche tra l’elettorato del centro-destra, sembrano attribuirle.
La Svizzera come si colloca in tale contesto? La classifica elaborata dall’OCSE non ce lo dice, ma il dato si può estrapolare dalle comunicazioni della Confederazione. Il salario mediano nel 2020 nella Confederazione era pari a 6’665 franchi, vale a dire 36,5 franchi l’ora (secondo i criteri adottati dalla SECOCollegamento esterno). Individuando una ipotetica media di 22 franchi (tra i 20,25 franchi a regime alla fine del 2024 in Ticino, ai 24 franchi in vigore a Ginevra alla fine del 2023) nei cinque cantoni che l’hanno già adottato, si può dedurre che il salario minimo “teorico” in Svizzera si aggiri attorno al 60,3% dello stipendio mediano: in Europa sarebbe quindi preceduta in questa particolare classifica da Portogallo (66,2%), Francia (60,9%) e Slovenia (60,4%).
Sulle implicazioni di ordine economico e sociale che l’eventuale adozione di una retribuzione minima legale avrebbe nel Belpaese e sugli effetti che analoghe misure hanno avuto nella Confederazione abbiamo chiesto il parere di un economista, Sergio Rossi che dal 2005 è titolare della cattedra di macroeconomia ed economia monetaria all’Università di Friburgo (Svizzera).
tvsvizzera.it:Una paga oraria minima di 9 euro è a Suo giudizio compatibile con l’attuale situazione dell’Italia e, soprattutto, la ritiene sostenibile per l’economia?
Sergio Rossi: 9 euro non bastano per vivere in Italia, soprattutto per coloro che vivono in una città. Il costo della vita è sicuramente inferiore alla Svizzera, ma a Milano, Roma o Firenze con questo salario non si riesce a pagare un affitto e a far fronte a tutte le altre spese periodiche. Si tratta comunque di una retribuzione molto più alta di quella che oggi molte persone ricevono, se si considera che oggi un o una lavapiatti di un ristorante, ad esempio, non percepisce più di 3,75-4 euro all’ora.
Va sottolineato che la retribuzione minima legale è difficilmente sostenibile per molte piccole imprese che ora pagano anche un terzo di quella cifra (3-3,50 euro). L’effetto di breve termine del salario minimo di 9 euro sarà verosimilmente negativo: le aziende meno competitive saranno costrette ad aumentare i prezzi – con conseguente contrazione della clientela e della cifra d’affari – o a licenziare parte del personale. Queste rischiano addirittura di fallire, ma le altre capaci di riorganizzarsi, saranno più solide e beneficeranno dell’aumento dei salari poiché si produrrà un incremento dei consumi.
“Ci sono chiari indizi a Neuchâtel, dove è in vigore il salario minimo, secondo i quali l’economia locale ha retto meglio rispetto ai cantoni vicini all’ondata pandemica e a tutte le conseguenze negative – in termini di aumento dei costi dell’energia e dei prodotti alimentari – derivanti dal conflitto in Ucraina”.
Sergio Rossi, Università di Friburgo
La grande industria è invece in grado di pagare oltre i 9 euro all’ora e in parte lo sta già facendo. Il rischio semmai è che chi oggi percepisce cifre superiori, possa un domani vedersi ridurre la paga oraria nelle fasi congiunturali meno favorevoli, sotto ricatto di eventuali licenziamenti. Dipenderà molto dall’etica del datore di lavoro.
Sotto il profilo fiscale che conseguenze si possono prevedere?
Se si riceve uno stipendio che non permette di vivere, pur lavorando a tempo pieno, si è costretti a rivolgersi ai servizi di assistenza sociale. Questo significa che l’impresa che si comporta in questo modo, in assenza di una retribuzione minima, fa gravare sulle spalle dei contribuenti, attraverso la fiscalità, una parte degli oneri che invece competono all’azienda stessa. Questo tipo di imprese si trovano nella situazione oggettiva di sfruttare la finanza pubblica. Per le casse dello Stato, al contrario, il salario minimo può essere un fattore rilevante di riequilibrio (attraverso le minori spese sociali e le maggiori entrate fiscali sui redditi da lavoro) e di riduzione del disavanzo pubblico.
Dal 2017 cinque cantoni (NE, JU, TI, BS, GE) hanno introdotto gradualmente il salario minimo e in altri vi sono analoghe iniziative in corso. Cosa si può ricavare dall’esperienza elvetica?
È senza dubbio prematuro trarre oggi delle conclusioni in merito ma perlomeno per quel che riguarda Neuchâtel si può dire che ci sono chiari indizi secondo cui l’economia locale ha retto meglio rispetto ai cantoni vicini all’ondata pandemica e a tutte le conseguenze negative – in termini di aumento dei costi dell’energia e dei prodotti alimentari – derivanti dal conflitto in Ucraina.
La situazione macroeconomica difficile che si è manifestata dal 2020 ha avuto un impatto inferiore nel cantone romando, e anche per quel che riguarda la disoccupazione le statistiche non sono peggiorate come in altre regioni equiparabili. A questo va aggiunto anche il numero di fallimenti delle imprese che non è aumentato come avvenuto in realtà limitrofe. Per Ginevra e Ticino è però troppo presto per fare valutazioni di questo tipo.
Se si guarda però oltre Oceano, ci sono diversi studi condotti in alcuni Stati degli USA in cui è stato dimostrato che in quel Paese il salario minimo è stato un vettore di crescita economica, di aumento dell’occupazione e di maggiore coesione sociale. Dove vige da più tempo tale misura, si è osservata una maggiore stabilità nel tessuto sociale e anche una minore fragilità finanziaria, con un rischio minore di fallimenti tra gli istituti di credito che finanziano l’economia locale.
In Svizzera l’adozione parziale del salario minimo ha provocato un incremento dell’inflazione, come da molti temuto?
Da quel che so io, non si è osservato un fenomeno di questo tipo. Ultimamente, come è noto, sono intervenuti altri fattori che hanno fatto aumentare i costi che le aziende hanno poi scaricato sui prezzi di vendita, soprattutto nel ramo alimentare. Ma questo non è stato originato dal mercato del lavoro. Anzi, le imprese di medie dimensioni, soprattutto nel caso citato di Neuchâtel, che hanno dovuto versare un salario minimo ai dipendenti meno qualificati, anziché licenziare una parte della forza lavoro, hanno ridotto gli stipendi della parte alta della gerarchia.
“Per le casse dello Stato il salario minimo può essere un fattore rilevante di riequilibrio (attraverso le minori spese sociali e le maggiori entrate fiscali sui redditi da lavoro) e di riduzione del disavanzo pubblico”.
Sergio Rossi, Università di Friburgo
Così facendo la spesa salariale è rimasta invariata e, al contempo, si è prodotta una distribuzione più equa del reddito. Inoltre, questo ha portato i percettori del salario minimo, da un lato a consumare maggiormente – con un indotto positivo su commercio al dettaglio, ristorazione, e più in generale sull’economia locale – dall’altro a motivare le e i dipendenti che si sono sentiti maggiormente coinvolti nell’azienda.
Una questione assai dibattuta in Svizzera è quella dell’effetto del salario minimo sulla manodopera frontaliera, presente in forze sul mercato del lavoro: è un incentivo o un freno alla concorrenza di questo segmento particolare di collaboratori e collaboratrici?
Come detto in Ticino, dove il salario minimo è stato introdotto di fatto solo nel gennaio 2022, non possiamo ancora sapere in che direzione si andrà. Indubbiamente per una lavoratrice e un lavoratore frontaliero diventerà più interessante un impiego nella Confederazione, poiché verrà retribuito maggiormente. Ma questo vale anche per la popolazione residente e per coloro che studiano in altri cantoni, per i quali paghe più pesanti sono un fattore di attrazione.
A questo proposito sottolineerei anche che alcuni settori economici, come la ristorazione e la sanità, in cui è impiegata una quota importante di manodopera straniera e dove si riscontra una carenza endemica di personale, potrebbero diventare accessibili, con stipendi adeguati, anche alle e ai residenti. Lo stesso datore di lavoro, sapendo che non può scendere al di sotto di certi limiti salariali, è incentivato ad assumere personale locale, poiché conosce il territorio e ha relazioni che possono aiutare l’impresa ad aumentare il fatturato e in definitiva anche la reputazione della stessa, in ottica di “impegno sociale”. Chi viene dall’estero, con il salario minimo, va retribuito come gli altri e viene meno quindi questo aspetto concorrenziale.
Intravede il rischio che con l’introduzione del salario minimo i datori di lavoro possano essere tentati di abbassare le retribuzioni superiori alla barriera legale che versano alle e ai loro dipendenti?
Il rischio esiste, ma ritengo che, nell’eventualità che questo si verifichi, sia spesso un pretesto, anche perché si è assistito, almeno negli ultimi 15 anni, a un incremento della produttività del lavoro che andrebbe comunque compensato. L’economista polacco Michal Kalecki diceva efficacemente che “il lavoratore spende nel mercato dei prodotti ciò che guadagna con il lavoro e l’impresa, viceversa, guadagna nel mercato dei prodotti quello che spende nel mercato del lavoro”.
Il circuito economico è chiuso: se nasce il reddito grazie alla produzione, questo reddito sarà speso per acquistare dei beni e servizi, e dunque il denaro circola in questo modo. Se invece le imprese riducono gli stipendi, riescono a guadagnare solo se vendono all’estero. Ma le molte imprese orientate al territorio che versano stipendi inadeguati si trovano in situazione di precarietà e questo ha ripercussioni negative all’interno di un Paese.
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