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Scovato un terzo nascondiglio del boss siciliano

Matteo Messina Denaro
La terza abitazione trovata, riconducibile al mafioso, sarebbe intestata a un uomo residente in Svizzera. Keystone / Carabinieri

Individuato in provincia di Trapani il terzo rifugio della latitanza di Matteo Messina Denaro. Secondo fonti stampa, l'appartamento sarebbe intestato a un uomo residente in Svizzera.

Un appartamento al primo piano di una palazzina gialla. Il paese è sempre lo stesso: Campobello di Mazara, piccolo centro del trapanese. È lì che la polizia ha scoperto il terzo rifugio del boss Matteo Messina Denaro, finito in manette lunedì 16 gennaio dopo 30 anni di latitanza. 

Il servizio del TG:

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Si trova a poche centinaia di metri dall’abitazione di vicolo San Vito individuata qualche ora dopo il blitz, nella quale sono stati rinvenuti documenti con delle sigle, e non distante dal bunker trovato ieri dalla Guardia di Finanza.

Sulla scia del trasloco

La casa, che il capomafia avrebbe occupato fino a giugno scorso ma che secondo fonti stampa, sarebbe intestata a un uomo residente in Svizzera, è in via San Giovanni. E al momento è vuota e sarebbe in vendita. All’immobile, perquisito dagli inquirenti nel pomeriggio, si è arrivati seguendo un trasloco. 

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Sono in corso indagini per accertare se nell’appartamento siano state ricavate stanze segrete come quella scoperta ieri dalle Fiamme Gialle. Un bunker blindato nascosto da un armadio pieno di vestiti, al quale si accede da un fondo scorrevole. 

A dare la chiave di quel che ha definito un ripostiglio – a quanto pare pieno di scatoloni, alcuni gioielli, pietre preziose e argenteria – è stato il proprietario della casa nella quale il rifugio era stato ricavato: Errico Risalvato, fratello di un fedelissimo del boss condannato per mafia e a lungo indagato.

Il materiale ritrovato

La Procura, guidata da Maurizio de Lucia, dovrà ora esaminare tutto il materiale recuperato dopo l’arresto: l’agenda che era nel borsello del capomafia al momento del blitz, che conterrebbe anche riflessioni e pezzi di lettere, i due cellulari di Messina Denaro, post-it, appunti e documenti con sigle, numeri di telefono, nomi e cifre che fanno pensare a una sorta di promemoria su investimenti e spese trovati nell’appartamento di vicolo San Vito e che sono ora all’analisi del Reparto Investigazioni Scientifiche (Ris) dei Carabinieri. Al momento non ci sarebbe invece traccia di un libro mastro.

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Il giudice per le indagini preliminari (gip) di Palermo ha intanto convalidato l’arresto in flagranza di Giovanni Luppino, l’uomo finito in manette col boss che era alla guida della macchina con la quale Messina Denaro ha raggiunto la clinica Maddalena, dove era in cura. 

“Nessun elemento può allo stato consentire di ritenere che una figura che è letteralmente riuscita a trascorrere indisturbata circa 30 anni di latitanza, si sia attorniata di figure inconsapevoli dei compiti svolti e dei connessi rischi, ed anzi, l’incredibile durata di questa latitanza milita in senso decisamente opposto, conducendo a ritenere che proprio l’estrema fiducia e il legame saldato con le figure dei suoi stessi fiancheggiatori abbia in qualche modo contribuito alla procrastinazione del tempo della sua cattura che, altrimenti, sarebbe potuta effettivamente intervenire anche in tempi più risalenti”, ha scritto il pubblico ministero Piero Padova nella richiesta di custodia cautelare in carcere avanzata a carico di Luppino e sulla quale il gip non si è ancora pronunciato. Per la Procura il padrino di Castelvetrano – si legge nella richiesta – sarebbe custode di segreti di alcune delle più cupe pagine della storia repubblicana”.

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“Non sapevo che fosse Matteo Messina Denaro, solo un pazzo avrebbe potuto accompagnarlo sapendo che si trattava del boss”, si è difeso Luppino davanti al gip. Il commerciante di olive, indagato per favoreggiamento, ha sostenuto che il capomafia gli era stato presentato come cognato di Andrea Bonafede, col nome di “Francesco”, e di averlo accompagnato perché doveva sottoporsi alla chemioterapia. 

È stata posta infine sotto sequestro la casa di proprietà della mamma di Andrea Bonafede, il geometra che ha prestato l’identità al capomafia e che ha acquistato con i soldi del boss l’appartamento di vicolo San Vito, occupato dall’ex latitante negli ultimi mesi.

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