“Se non fai il bravo, viene a prenderti il Krampus”
In alcune valli germanofone del Trentino-Alto Adige, nelle due settimane che precedono il Natale i bambini e le bambine sanno che devono essere buoni altrimenti dal buio della notte potrebbe apparire un Krampus: annunciato dal tintinnio dei campanacci e dalle urla tenebrose, con il volto demoniaco e il corpo ricoperto di pellicce, spinge, insulta e colpisce con un frustino di ramoscelli le persone che incontra lungo il suo cammino.
Nell’eterna disputa tra bene e male, presente nella mitologia di ogni popolo e di ogni epoca, i krampus (dal tedesco kramp=artiglio o dal bavarese krampn=morto) sono contrapposti a San Nicola (o San Nicolò), il vescovo di Myra da cui proviene la figura di Babbo Natale.
Non è un caso che i diavoli cornuti compaiano la notte prima della festa del santo, che in tutta Europa si celebra il 6 dicembre, uno dei giorni più bui e freddi dell’inverno, perché freddo e buio sono elementi affini alle forze maligne, in contrapposizione con la luce, il calore e la fertilità della terra.
“Il mito dei Krampus ha origini antichissime, precristiane, legate alla centralità dell’agricoltura nelle società umane com’è stato dal Neolitico in poi — spiega Marta Villa, antropologa e ricercatrice nel Dipartimento di Ricerca sociologica dell’Università di Trento — mentre la figura di San Nicola è stata introdotta dopo, con il Cristianesimo, per “normalizzare” quel rito pagano”.
In forme diverse, il mito dei krampus esiste anche in Svizzera, nel Tirolo austriaco, in Baviera e in Slovenia.
tvsvizzera.it: Dunque San Nicola e i Krampus non nascono insieme?
Marta Villa: No, soprattutto la Chiesa protestante è stata molto dura con questa tradizione, fino ad interromperla, in alcune zone, prima che venisse ripresa dopo secoli solo a metà Ottocento. E introducendo San Nicola, portatore di luce e di doni ai bambini, in lotta contro i Krampus, portatori di buio e signori del male. È interessante notare come pur essendo San Nicola un santo greco, molto venerato nel meridione d’Italia, il suo culto si sia diffuso molto anche al Nord e sulle Alpi, dove sopravvivono gli aspetti pagani e precristiani del mito.
Cosa rappresentava questa tradizione per le generazioni che ci hanno preceduto?
Dobbiamo immaginare la vita in montagna nei secoli successivi alla Piccola Glaciazione, iniziata nel XIV secolo, con inverni lunghi e rigidi, nevicate abbondanti e diversi problemi con l’approvvigionamento di cibo. I nostri antenati chiedevano aiuto alle forze della natura anche attraverso riti apotropaici come questo: da un lato i contadini, la luce, la terra e la fertilità, dall’altra le forze malefiche che protette dal freddo e dall’oscurità bloccavano la fertilità e intrappolavano i semi impedendogli di germogliare.
In che modo, e con quale ruolo, viene introdotta la figura di San Nicola?
Secondo una tradizione, il Krampus viene affrontato e sconfitto in duello da San Nicola e diventa suo servo, mentre in un’altra il demone accompagna il santo nelle sue visite ai bambini e minaccia di portarli via se non si comportano bene.
È il caso di alcune località della Svizzera tedesca dove Samichlaus (San Nicola) è accompagnato da “Schmutzli”, in Romandia dal “Père fouettard” (la versione locale del Krampus), che ha il volto dipinto di nero, la tunica scura e il frustino in mano.
Qual è il significato degli accessori portati dai Krampus come catene e campanacci?
In alcune zone come la Val Venosta, il Krampus è chiamato “Klaubauf”, che significa portatore di catene, davanti alle quali le persone devono scappare per non finire intrappolate.
In generale il mito dei Krampus è legato alla sonorità, al rumore che accompagna la presenza degli spiriti maligni.
Quand’è che nel mito entrano in gioco i bambini?
Già alcune cartoline pubblicate a Bolzano a metà ‘800 mostrano alcuni bambini in fuga dai Krampus e altri che ricevono regali da San Nicola. In quel periodo è stata introdotta una funzione diciamo “pedagogica” dei Krampus, usati come spauracchio per tenere buoni i bambini. È il solito mito dell’uomo nero che ritorna, utile a genitori e nonni per esercitare l’autorità.
L’artigiano Luca Pojer racconta che i clienti aspettano anche un anno per una maschera unica, che considerano preziosissima.
Sul piano antropologico le maschere hanno un valore simbolico enorme. Ci sono paesi in cui gli abitanti se le fanno da soli, con lo stesso rito che affonda le radici nella notte dei tempi.
In Val Venosta ne ho viste alcune fatte con un vello di capra raccolto in un preciso momento dell’anno, le corna del caprone più anziano del gregge e il legno di un certo albero del bosco del proprietario. Queste maschere sono decisamente meno belle di quelle fatte da artigiani esperti come Pojer, ma più interessanti per quello che di quel mondo raccontano.
Cosa resta oggi del mito dei Krampus?
In Alto Adige ci sono luoghi come la Val Venosta, la Val Passiria e il comune di San Lorenzo di Sebato, dove la tradizione è antichissima e non pubblicizzata, è destinata solo agli autoctoni e agli abitanti dei paesi vicini. È vissuta con ritualità e segretezza.
Mentre altrove, come in Trentino, a Cavalese e in Val di Fassa, è intesa come un modo per far conoscere le tradizioni e ha anche una destinazione turistica: la cosa non è da condannare, perché nelle zone ladine e tirolesi c’è il bisogno di difendere e promuovere i propri usi e costumi per rimarcare la propria identità.
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