Il 5 maggio di 200 anni fa moriva in esilio Napoleone Bonaparte, l’imperatore dei francesi cui anche gli svizzeri devono comunque qualcosa. Il suo contributo, prima con la Repubblica Elvetica nel 1798 e con l’Atto di Mediazione cinque anni dopo, fu infatti determinante nella costruzione della Svizzera moderna.
Anche dal profilo linguistico la Confederazione si trasformò da un’entità germanofona costituita da 13 cantoni (con territori soggetti o alleati) a uno Stato plurilingue federale costituito da cantoni e culture diverse ma con pari diritti.
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Ma il genio di Austerlitz influenzò anche le sorti dell’italiano in Svizzera, con la sua decisione di aggregare la Valtellina nel 1798, dopo tre secoli di dominazione grigionese, alla nascente Repubblica Cisalpina nell’Italia settentrionale. La stessa cosa non si verificò per le altre vallate italofone retiche e per il Ticino, che restarono saldamente nella Confederazione.
Le cose non cambiarono in seguito al disfacimento della Repubblica Elvetica e la nascita di uno Stato federale nel 1803: Napoleone non tornò sui suoi passi, confermando la perdita di Valtellina, Bormio e Valchiavenna da parte della Svizzera. Il peso politico e culturale della componente italiana inevitabilmente si ridusse.
Dopo ci fu la Restaurazione e con la guerra civile del Sonderbund nacque la Confederazione come la conosciamo oggi, che si ispirò al modello Napoleonico. Ma gli equilibri culturali interni restarono sostanzialmente immutati, come ci spiega il servizio del TG.
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