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Strade e piazze tinte di viola per lo sciopero femminista

Manifestazione di donne in strada svizzera.
© Keystone / Jean-christophe Bott

È tornato in decine di città della Confederazione il corteo delle donne, un appuntamento di protesta e di proposta in nome dell'equità di genere.

Parole d’ordine: parità salariale, lotta alle violenze in particolare a quella sessuale. Ma anche riduzione dell’orario di lavoro e più sostegno per tenere insieme vita professionale e familiareCollegamento esterno, fino a modifiche del sistema pensionistico, la creazione di un’unica cassa malattia (le assicurazioni al cuore del sistema sanitario elvetico), un congedo maternità che duri almeno un anno. Passando per la lotta al sessismo, alle molestie e alla mancanza di rispetto.

Manifesto denso per cortei molto colorati, che hanno invaso le strade e le piazze di 50 città svizzere.

L’iniziativa si è svolta una prima, storica volta nel 1991Collegamento esterno e poi è rinata in pompa magna a partire dal 2019. Quest’anno l’iniziativa ha poi cambiato nome, in sciopero femministaCollegamento esterno.

Dateci più soldi

Una delle prime azioni dimostrative della giornata si è svolta nella Piazza Federale di Berna, il cuore della politica e della coesione nazionale. Con il pugno sinistro in aria, c’è stato un giuramento collettivo: “battersi fino alla vittoria per la parità di ogni persona che vive in questo paese”.

Donna di spalle manifesta davanti a Palazzo federale a Berna.
© Keystone / Alessandro Della Valle

Fra le richieste, cinica e ficcante quella che il governo metta a disposizione per la cura di bimbe e bimbe 109 miliardi di franchi l’anno – la cifra che ha promesso per il salvataggio di Credit suisse. “Soldi di cui hanno bisogno mamme e bambini, con urgenza almeno pari a quella delle banche”, ha dichiarato una portavoce della Commissione federale ‘dini Mueter’ (tua mamma).

La protesta delle lavoratrici

A Lucerna, il sindacato ha organizzato scioperi delle collaboratrici di ditte di pulizia. Il personale che pulisce hotel di lusso ha invece protestato a Zurigo, per chiedere un adeguamento dei salari e il miglioramento delle condizioni di lavoro. In piazza sono scese in diverse città nutrite delegazioni di venditrici al dettaglio, che hanno alzato la voce per denunciare stipendi troppo bassi, orari di lavoro parziali imposti e la difficoltà di far quadrare i conti fra vita familiare e professionale.

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Anche le impiegate dell’industria svizzera dell’orologeria hanno partecipato alle proteste, a Neuchâtel e nel Canton Giura, per rivendicare salari migliori ed una più efficace protezione dalla violenza di genere.

“L’orologeria è il settore in cui, secondo le rilevazioni dell’Ufficio federale per la statistica, è più marcata la differenza salariale fra i generi: il 24,9%, in gran parte inspiegabile. E dire che si tratta di un settore di lusso, i cui affari vanno a gonfie vele”, ha commentato all’agenzia Keystone-ATS la sindacalista Unia Nicole Vassalli.

Presenti a Losanna le assistenti di farmacia, molte delle quali hanno abbandonato il turno di lavoro per partecipare alla rumorosa manifestazione fra pentole, strumenti musicali, maschere e costumi. Molti gli striscioni ironici, come “Sotto le paillettes, la rabbia”.  

Per l’occasione, le manifestanti hanno femminilizzato una storica piazza: da Place Saint-François, a Place Saint-Françoise. Sulle rive del lago Lemano, a Ouchy, un nutrito gruppo di donne ha simulato l’ammutinamento: vestite da capitani di mare d’altri tempi, sono partite al simbolico arrembaggio del vascello, per ricordare il problema di tanti mestieri ancora troppo maschili, in cui le donne non sono le benvenute e quando lo sono, finiscono per guadagnare di meno.

Donne manifestano a Losanna vestite da pirati.
© Keystone / Jean-christophe Bott

Volti celebri della politica

A Berna in piazza si sono viste molte donne politiche. In particolare, hanno partecipato al corteo la Consigliera federale socialista Elisabeth Baume-Schneider e l’ex presidente della Confederazione, anche lei socialista, Simonetta Sommaruga.

Presenti anche, in diverse città, collettivi organizzati di mamme e nonne, baby-sitter e insegnanti degli asili, con tanto di flotta di passeggini con a bordo creature di tutte le età. Hanno chiesto più tempo per occuparsi delle ultime generazioni senza essere penalizzate nella vita sociale e nella carriera, ma anche più soldi per il comparto essenziale dell’assistenza all’infanzia.

Donne con passeggini in manifestazione.
© Keystone / Alessandro Della Valle

Pacifiche e rumorose

I cortei sono stati contraddistinti dall’approccio colorato e rumoroso, arrabbiato ma gioioso. A Zurigo, nei pressi di Paradeplatz, sono stati tuttavia registrati scontri fra una parte delle persone che manifestavano e la polizia, che ha impiegato gas lacrimogeni.

Alcune delle azioni durante la lunga giornata delle donne erano concordate a livello nazionale. Così alle 10:46 il tema forte era la riforma delle pensioni, alle 13:33 la questione del lavoro di cura e di educazione dei figli, alle 15:42 l’orologio si è fermato per indicare che secondo le stime dei sindacati e le analisi dell’Ufficio federale di statistica, da quel momento ogni giorno una donna finisce per lavorare senza salario, a parità di qualifica e mansione, così come l’annoso problema di tenere insieme famiglia e carriera.

La questione della disparità salariale è oggetto di eterna disputa fra datori di lavoro e sindacati, che in particolare sui numeri del problema non trovano l’accordo.

Grande successo, con polemica

A fine giornata, l’Unione sindacale svizzera ha parlato di una partecipazione ai cortei di 300’000 persone, ma in ogni città c’è stata la tipica discrepanza di stime fra comitati organizzatori e autorità.

Un tocco di polemica ha infine attraversato l’evento. Il cambiamento di nome, da “sciopero delle donne” a “sciopero femminista”, avrebbe tenuto lontane dalla manifestazione molte donne di centro e di destra, che nel 2019 erano scese in piazza.

L’ha ricordato anche Christiane Brunner, che della storica manifestazione del 1991 fu una delle figure chiave. Brunner ha partecipato al corteo di Losanna e all’ATS-Keystone ha dichiarato di trovare importante che si continui a manifestare il 14 giugno, perché “se non andiamo avanti, non si può che retrocedere”.

Tuttavia, ha ricordato Brunner che il punto forte del 1991 fu anche non chiamarsi femminista, scelta che aveva lasciato spazio alla partecipazione “di tutte le donne, anche di quante non si riconoscessero necessariamente in quel movimento”.

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