Uber è un datore di lavoro a tutti gli effetti
La società statunitense non è un semplice fornitore di servizi che mette in contatto con il suo software due persone, ma un vero e proprio datore di lavoro e per questo deve pagare i contributi sociali. Lo ha sentenziato il Tribunale delle assicurazioni sociali del Canton Zurigo.
Dopo la giustizia ginevrina e vodese, che hanno emesso verdetti simili, anche quella zurighese ha ora inferto un duro colpo all’azienda con sede a San Francisco. La vertenza legale non è però ancora finita, poiché Uber ha già annunciato di voler fare ricorso al Tribunale federale, la più alta istanza giudiziaria svizzera.
In sostanza, il Tribunale delle assicurazioni sociali di Zurigo ha concluso, in diverse sue sentenze, che tra Uber e i suoi autisti esiste un rapporto di lavoro e l’azienda è quindi tenuta a pagare i contributi sociali.
Le sentenze, contro le quali Uber ha già annunciato ricorsi al Tribunale federale, si riferiscono tutte a casi che risalgono al 2014. Nel 2019, l’assicurazione contro gli infortuni Suva e l’Istituto delle assicurazioni sociali del cantone Zurigo (SVA) avevano classificato i conducenti di Uber come dipendenti.
In gioco cinque milioni di franchi
La SVA aveva quindi chiesto a Uber, o a una sua filiale, di pagare 4,3 milioni di franchi di contributi sociali, più gli interessi di mora di quasi 1 milione di franchi maturati dal 2014.
Il servizio di trasporto privato attivo a livello mondiale si era in seguito rivolto al Tribunale, sostenendo che la sua attività non può essere equiparata a quella di una centrale di taxi. Il software di Uber rappresenta un semplice servizio che mette in contatto due persone: un autista e un passeggero. Gli autisti che lavorano attraverso la sua applicazione andrebbero perciò considerati come lavoratori autonomi.
Non semplici raccomandazioni, ma istruzioni di lavoro
Nelle sentenze pubblicate giovedì, il tribunale zurighese delle assicurazioni sociali arriva però alla conclusione che anche se alcuni elementi – come la flessibilità del tempo di lavoro – parlano a favore del lavoro autonomo, la maggior parte degli aspetti presi in considerazione “indica chiaramente che si tratta di lavoro dipendente”.
Appena un mese fa, la Commissione europea ha presentato delle misure per rafforzare i diritti dei lavoratori delle piattaforme digitali, come Uber.
L’obiettivo di questo pacchetto di provvedimenti è di sapere se i lavoratori possono avere lo statuto di salariati.
Per determinarlo, Bruxelles ha fissato cinque criteri: il fatto che una piattaforma fissi i livelli di remunerazione, controlli a distanza le prestazioni, non permetta ai suoi dipendenti di scegliere i loro orari di lavoro o di rifiutare incarichi, imponga di indossare uniformi, o proibisca di lavorare per altre aziende.
Se almeno due criteri sono soddisfatti, la piattaforma sarebbe considerata come un “presunto” datore di lavoro, e dovrebbe rispettare gli obblighi del diritto del lavoro
Anche se Uber nei suoi contratti descrive molti requisiti come semplici “raccomandazioni”, queste hanno il carattere di vere e proprie istruzioni. Un autista è ad esempio autorizzato a modificare le raccomandazioni sulle tariffe, ma soltanto riducendole, ossia a sue spese. Ciò rappresenta “di fatto l’esercizio del diritto di dare istruzioni” e comporta in altre parole un rapporto di subordinazione, ha sentenziato il tribunale.
Anche per quanto riguarda il rischio imprenditoriale, il tribunale ritiene che ci sia un rapporto di dipendenza verso gli autisti. Questi ultimi non acquisiscono direttamente i passeggeri, ma se li vedono assegnati attraverso l’app di Uber. Stesso discorso per i passeggeri, che non prenotano una corsa presso un autista in particolare, ma presso Uber.
Ricorsi al Tribunale federale
In una presa di posizione fatta pervenire all’agenzia Keystone-ATS, Uber ha annunciato ricorsi al Tribunale federale. Le decisioni del tribunale zurighese – si legge nella nota – ignorano il fatto che gli autisti di Uber in Svizzera non sottostanno ad obblighi di lavoro e che la grande maggioranza di loro vuole rimanere indipendente.
Il tribunale avrebbe inoltre ignorato “che Uber ha apportato numerosi cambiamenti dal 2014 per rafforzare ulteriormente la libertà di scelta e l’autonomia dei conducenti indipendenti che utilizzano l’app”.
Il sindacato Unia ha nel frattempo esortato Uber a rinunciare ai ricorsi e ad assumere correttamente i suoi lavoratori. Alla luce delle sentenze, gli autisti sono “di fatto impiegati in nero”, scrive il sindacato in una nota.
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