Gente di marmo e anarchia
Da secoli fulcro dell'attività economica nella regione, il marmo ha forgiato anche l'identità sociale, politica e culturale dei carrarini.
“Per spaccare il marmo devi capire qual è la linea giusta, il suo verso. Se la segui, tagliarlo è facile. Se invece provi a tagliarlo diciamo al contrario, se vai contro il verso, non ci riesci: non c’è verso, proprio. E quello si chiama contro. Ecco, i carrarini hanno il contro in testa, sono duri, resistono, e non c’è verso di scalfirli. Non c’è il verso proprio”.
Marco Rovelli è uno scrittore che, nel 2012, ha scritto un libro sulle sue terre: Il contro in testa. Gente di marmo e d’anarchia. Oltre alle cave, Carrara è conosciuta per essere la capitale italiana del pensiero anarchico. Una delle ragioni storiche è proprio dovuta all’attività dei cavatori.
Le cave, dei beni comuni
La prima Camera del lavoro è stata costituita da alcuni cavatori anarchici. Rovelli ci spiega come il marmo abbia avuto un ruolo fondamentale nell’avere costruito l’identità politica e culturale di questo territorio: “Le cave erano dei beni comuni che appartenevano alle vicinanze, ossia alle comunità dei villaggi di montagna. Non erano private e non erano statali, erano beni comuni che, nell’Ottocento, furono privatizzate insieme dallo Stato e dal mercato. Vi è così stato un decadimento delle condizioni di vita dei cavatori e non è un caso se qui si diffonde l’anarchismo che fa riferimento ad una condizione in cui i beni erano comuni e di tutti”.
Si dichiara anarchico anche Diego Zampolini che incontriamo alla sede della Cooperativa scultori di Carrara.
Diego ci spiega la storia di amicizia, di lotta e di lavoro che ha portato alla nascita di questa cooperativa, nata lo scorso anno: “Io e i miei tre colleghi siamo stati lasciati a casa all’improvviso, dopo vent’anni di lavoro e con famiglia a carico, dalla nostra ex datrice di lavoro. Grazie ad un concatenarsi di coincidenze e al sostegno indispensabile del sindacato, di alcuni artisti e di alcune cooperative di cavatori ci siamo così messi in proprio”.
Diego e i suoi colleghi Riccardo, Raffaele e Andrea collaborano con artisti e gallerie di tutto il mondo: viene data loro un’idea, un bozzetto e loro lo riproducono in marmo, utilizzando le antiche tecniche della scultura.
Memorabile, il calco effettuato alla modella Naomi Campbell che ritroviamo nella sede della cooperativa, nel centro di Carrara. “Lavorare in questo contesto di cooperativa, senza padroni, per me è un sogno che si avvera – racconta Diego –. L’anarchia così come il marmo è parte integrante della mia città e della mia identità”.
“Il pensiero che oggi la montagna venga devastata, violentata, sbriciolata, per fare dentifrici fa davvero male”
Diego
Chiediamo a Diego cosa ne pensa del business del carbonato di calcio. “La montagna ti dà qualcosa e il fatto che si possa nobilitare questo bene, dando magari una sensazione di gioia a chi vede una scultura o una piazza e che una parte della tua città è nei musei di tutto il mondo, è qualcosa che mi fa piacere. Il pensiero, però, che oggi la montagna venga devastata, violentata, sbriciolata, per fare dentifrici fa davvero male”.
Una legislazione di stampo settecentesco
Oggi Carrara, più che del marmo e dell’anarchia, è semmai considerata un simbolo della malapolitica. A differenza di tutte le città d’Italia, detiene una risorsa estratta da pubblico demanio e la sfrutta ad esclusivo beneficio di un ridotto gruppo di ricchi personaggi, con una legislazione di stampo settecentesco a fare da corollario.
Come ci spiega Franca Leverotti, professoressa universitaria in pensione, che ci accoglie nella sua bella casa alla periferia di Massa, il grosso delle norme che regolano l’uso e le concessioni degli agri marmiferi risale al 1750.
Da anni Franca Leverotti denuncia l’irrilevanza dell’entità oggettiva dei beni estimati, cioè di quella sorta di concessioni perpetue che Maria Teresa D’Este fece per premiare i suoi più fedeli sostenitori tra coloro che lavoravano le cave. “Come mai oggi c’è un altissimo numero di cave estimate, come mai la superficie dei beni estimati si è dilatata?” ci chiede provocatoriamente.
L’esperta ha studiato attentamente le carte del catasto di Massa Carrara del 1823 proprio in relazione all’entità dei beni estimati che sono l’inizio dell’intricatissima matassa che costituisce il rapporto tra il mondo del marmo ed il comune di Carrara. Quello che è emerso è che i proprietari di cava si sono di fatto impossessati di un bene che non era loro.
Per la sua attività di denuncia della lobby del marmo e della maniera con la quale pochi imprenditori si sono accaparrati dei beni pubblici, la docente ambientalista si è beccata diverse denunce da parte degli industriali. Denunce che sono sempre state respinte dai giudici.
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