Missione compiuta. È la parola d'ordine ripetuta ossessivamente dallo staff della Casa Bianca al termine del G7 siciliano, ultima tappa del primo e lungo viaggio all'estero di Donald Trump. "Tutti gli obiettivi che il presidente si prefiggeva sono stati raggiunti", assicura il consigliere alla sicurezza nazionale H.R. McMaster. Lo stesso Trump non nasconde la sua soddisfazione su Twitter e poi, prima di lasciare l'Italia, parlando alle base militare di Sigonella.
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tvsvizzera.it/fra con RSI
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Ma finiti i lavori al tavolo dei sette Grandi nessuna conferenza stampa, come invece è consuetudine e come è stato per tutti gli altri leader presenti a Taormina. Troppo forte il disagio per gli ultimi clamorosi sviluppi sul Russiagate, col genero Jared Kushner sempre più coinvolto nelle indagini dell’Fbi.
È troppo grande il rischio di trasformare l’incontro con i giornalisti in un fuoco di fila di domande imbarazzanti e più difficili da gestire su un palcoscenico internazionale. Rovinando quel messaggio che è il solo che a Trump interessa al momento: da Riad a Israele, passando per Vaticano, Bruxelles e Taormina, “è stata una settimana storica”. Otto giorni alla fine dei quali The Donald vuole fissare quell’immagine di leader mondiale a cui tiene e che spera lo possa rendere più forte in casa, dove al momento regna il caos.
“Abbiamo rafforzato i rapporti con i nostri alleati”, assicura Trump, sottolineando però come siano state mosse – anche a muso duro – tutta una serie di obiezioni su cui si è fortemente impegnato fin dalla campagna elettorale: a costo di litigare con Angela Merkel sul commercio e con tutti gli altri leader sull’accordo di Parigi sul clima. Senza contare le politiche su migranti e rifugiati che per il presidente Usa non possono assolutamente andare a discapito della sicurezza.
Il risultato è quello di un G7 che Trump definisce “molto produttivo” ma che di fatto ha ‘frenato’ decisamente nelle sue conclusioni, evitando che fossero compiuti significativi passi in avanti. Mettendo così ancor di più in crisi un modello multilaterale a cui il tycoon da tempo dice di preferire un approccio bilaterale, tra Stato e Stato.
E pazienza se qualcuno sulla stampa europea lo ribattezza “il bullo”, “lo zoticone”. Mai come questa volta, in effetti, i gesti e le espressioni di Trump hanno spesso parlato più delle stesse parole. Come per lo spintone al leader del Montenegro per guadagnarsi un posto in prima fila, con quell’aria tra il duro e lo sbruffone. Così non è stato in Arabia Saudita e in Israele, tappe dai toni molto più concilianti. Tanto che altri parlano di un ‘Trump bifronte’, capace di passare dalla diplomazia al brusco negoziare a seconda delle situazioni. Sarà il futuro a dire qual è il vero Donald.
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