Via al processo per l’attacco al coltello a Lugano: “Rifarei tutto, ma meglio”
Con queste parole la sedicente jihadista che due anni fa ferì con un coltello due persone alla Manor di Lugano ha ribadito la sua fedeltà allo Stato islamico. Durante il primo giorno di processo al Tribunale penale federale non sono mancate le tensioni.
È iniziato oggi al Tribunale penale federale (TPF) di Bellinzona il processo all’autrice dell’aggressione di matrice jihadista avvenuta ai danni di due donne il 24 novembre 2020 al grande magazzino Manor di Lugano.
L’imputata, cittadina svizzera di 29 anni, è accusata di tentato assassinio e di violazione della legge federale che vieta i gruppi “Al-Qaïda” e “Stato islamico” nonché le organizzazioni associate e di esercizio illecito della prostituzione.
Il servizio del Quotidiano:
Colpo di scena iniziale
Poco prima che iniziasse il dibattimento c’è stato anche un colpo di scena: il difensore Daniele Iuliucci ha mostrato alla Corte un messaggio appena ricevuto, che dice “Metteremo fine al tribunale, annulla il mandato, la prossima volta l’attacco non sarà col coltello!”. Un messaggio anonimo e minatorio, che la giudice Fiorenza Bergomi ha consegnato alla Polizia federale, prima di dare inizio al dibattimento.
I fatti di quel giorno di novembre 2020
Secondo l’atto di accusa del Ministero pubblico della Confederazione (MPC), la donna, che vive in Ticino, si sarebbe fatta consigliare un coltello da pane affilato da una commessa del reparto casalinghi dei grandi magazzini Manor di Lugano prima di commettere il crimine. Con esso ha poi accoltellato due donne scelte a caso. La lama del coltello da pane seghettato era lunga 21 centimetri, si legge nell’atto di accusa.
Alla prima vittima, la 29enne avrebbe inferto una ferita al collo profonda almeno dieci centimetri e altre lesioni al viso, agli avambracci, ai polsi e alle mani. La seconda vittima, secondo il MPC è stata ferita alla mano destra.
Durante l’aggressione con il coltello, la 29enne avrebbe gridato “Allah u Akbar” – “Dio è il più grande” e “Sono qui per l’Isis”. La vittima ferita più gravemente si è costituita parte civile nel processo contro la 29enne. Ha presentato una richiesta di risarcimento per 440’000 franchi.
L’accusata aveva contatti con i jihadisti
Secondo le informazioni dell’Ufficio federale di polizia (fedpol), cinque anni prima l’accusata aveva avuto contatti con un combattente jihadista, del quale si era innamorata tramite i social media. Nel 2017 ha cercato di recarsi in Siria, ma è stata fermata al confine turco-siriano e rimandata in Svizzera dalle autorità turche.
Come ha precisato nel 2020 fedpol, la donna ha sofferto di problemi psichiatrici ed è stata ricoverata in un istituto psichiatrico al suo ritorno in Svizzera. Tuttavia, dal 2017 non è comparsa in nessuna indagine a sfondo terroristico della fedpol.
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