Benchorfi preparava una strage, ma qui nessuno lo conosce
A inizio dicembre, le forze dell’ordine italiane hanno arrestato un trentenne marocchino, sospettato di stare preparando un attentato. L’uomo viveva in via Tracia, nel cuore del quartiere di San Siro.
«Questo Nadir non si è mai visto in giro. So che abitava in via Tracia, ma nessuno delle persone che frequentava il nostro bar lo conosceva e qui ci sono tanti arabi», ci racconta l’impiegato di origini calabresi di un esercizio pubblico in via Morgantini. L’arresto, lo scorso 2 dicembre, di Nadir Benchorfi, trent’anni, aspirante terrorista dell’ISIS, era finito su tutti i media italiani, ma nessuno pare conoscerlo o avere interesse a parlare dell’argomento.
Tra immigrati, oltre tutto, c’è omertà verso l’esterno e di principio non si parla con chi non fa parte della comunità musulmana. Questo marocchino, emigrato a dodici anni nella vicina Penisola, dopo aver vissuto un’adolescenza problematica tra Busto Arsizio e Gallarate, si era trasferito nel quartiere insieme ad un connazionale (risultato estraneo ai fatti). Era considerato dalle forze dell’ordine una sorta di «gregario», ma comunque molto pericoloso, tanto che il Tribunale del riesame, a inizio gennaio, ne ha confermato l’arresto.
Nadir, che lavorava come aiuto cuoco nel centro commerciale di Arese, tramite alcuni social media – tra cui Telegram – era in contatto con un gruppo terroristico legato all’ISIS e aveva in mente di compiere una strage. Forse, hanno ipotizzato gli inquirenti, nello stesso megastore nella provincia di Milano in cui lavorava e sapeva muoversi senza dare nell’occhio.
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Ora il 30.enne ha parzialmente ammesso le proprie intenzioni, affermando – interrogato dal magistrato – di essere però una vittima e che avrebbe agito soltanto perché ricattato dall’organizzazione di combattenti islamici che lo aveva reclutato anni prima (circostanza, però, smentita da precedenti registrazioni telefoniche e dalle nuove indagini a suo carico).
Nadir Benchorfi, attualmente, è in carcere nel penitenziario di San Vittore in attesa di processo o di istanza di espulsione. Dall’esame del suo dossier è pure emerso che era stato in Germania e che aveva frequentato a lungo alcuni predicatori salafiti nel periodo in cui lavorava vicino a Düsseldorf.
Le forze dell’ordine sanno per certo che proprio il quartiere popolare di San Siro è la base di appoggio di estremisti islamici. «Qui ci conosciamo tutti, anche se di “loro” (i nordafricani, n.d.r.) non ti puoi fidare», prosegue il nostro interlocutore. «Avevo anche sentito dire che questo Nadir stava cercando una pistola, ma che poi non è riuscito a reperirla. Era forse considerato un pesce troppo piccolo. Non è comunque l’unico arresto che è stato fatto in questa zona. Se non ricordo male, negli ultimi anni, ve ne sono stati alcuni altri».
Altri due casi
Altri due per la precisione. Per cominciare, il tunisino Moez Fezzani, conosciuto anche con il nome di Abu Nassim, che lo scorso 14 novembre è finito in manette in Sudan con l’accusa di essere il reclutatore-capo dei militanti dello Stato islamico in Italia. Un pezzo grosso.
Quest’ultimo, sul quale pendeva un mandato di cattura internazionale, dopo aver scontato due anni di carcere in Italia nel 2014 con l’accusa di associazione a delinquere con finalità terroristiche, proprio a San Siro si era lasciato alle spalle una lunga e oscura militanza già dal 1997. Nel 2012, quando sono affiorati precisi sospetti a suo carico, era stato in un primo tempo giudicato e assolto dal Tribunale di Milano, che ne aveva però chiesto (senza esito) l’espulsione dall’Italia. Atti della Procura alla mano, Fezzani aveva conoscenze anche nel Varesotto ed era considerato un membro attivo di una cellula definita «Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento». Insomma, una pedina importante di una delle organizzazioni del jihad con contatti in Medioriente e in Europa.
Un altro terrorista che viveva a San Siro e che attualmente è in stato di detenzione, è l’ex ingegnere libico Mohamed Game, autore dell’attentato alla Caserma Santa Barbara di Milano nell’ottobre 2009.
Quest’ultimo – che all’epoca dei fatti aveva 34 anni, era in possesso di un permesso di soggiorno ed era sposato con un’italiana e padre di due figli – dopo aver fatto saltare la carica esplosiva di cui era entrato in possesso, aveva ferito di striscio un caporale ventenne, procurandosi anch’egli ferite agli occhi. In un primo tempo, Game era considerato un «lupo solitario».
Dalle indagini, la polizia italiana era successivamente venuta a sapere che l’uomo era membro di un’organizzazione terroristica internazionale ben articolata, per conto della quale agiva dal suo domicilio in via Paravia. Una serie di altre intercettazioni telefoniche, un anno prima, avevano portato – sempre a Milano – all’arresto di due marocchini legati al fondamentalismo islamico e appartenenti a quel giro. «Terroristi tra noi?» rilancia la titolare del bar di fronte a via Zamagna. «Da queste parti c’è di tutto tranne che la legge. Siamo isolati. E come fanno quelle persone che ricevono soldi dallo Stato a fare acquisti con il portafoglio sempre pieno di euro?».
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