Museo d’arte della Svizzera italiana, un bilancio a quasi dieci anni dalla sua nascita
Il MASI di Lugano nel 2025 festeggerà i suoi primi dieci anni. Come sono cambiati i suoi visitatori, le mostre e le strategie di marketing di un museo che si definisce “crocevia culturale tra il sud e il nord delle Alpi”? E qual è l'importanza del pubblico italiano?
Il MASI Collegamento esternoesiste dal 2015, lo stesso anno in cui è stato inaugurato il LAC, il complesso Lugano Arte e Cultura, edificato sulle rive del lago sul sedime di quello che un tempo era il Grand Hotel Palace.
E non è un caso. Sorto dall’unione del Museo Cantonale d’Arte e del Museo d’Arte di Lugano (ex Villa Malpensata), il MASI è stato pensato con la convinzione della necessità di avere un unico punto di riferimento artistico per tutta la regione. Descritto oggi come “uno dei musei più visitati della Svizzera”, all’epoca della sua creazione veniva salutato dal Municipio come “un progetto ambizioso, che concorrerà a un salto di qualità dell’offerta culturale e sociale dell’intera Svizzera Italiana”. Da gennaio 2018 è diretto da Tobia Bezzola, in procinto di andare in pensione a inizio 2026, quando subentrerà il suo successore. Nel 2025 il MASI compirà dieci anni. È riuscito nel suo mandato? Come è cambiato il suo rapporto con i visitatori oltreconfine?
Il mandato del MASI sin dall’inizio è stato chiaro: valorizzare il patrimonio artistico del Canton Ticino, esporre opere di interesse locale, nazionale e internazionale, collaborare con scuole, enti e associazioni che operano nel settore. L’obiettivo di pubblico pensato nel 2015 era di circa 80’000 visitatori e visitatrici all’anno e il suo corrispettivo era considerato, per budget e obiettivi, il Kunstmuseum di Berna. Erano gli anni in cui il 40% del pubblico delle mostre d’arte a Lugano proveniva da fuori Cantone, soprattutto dalla Lombardia. E forte era la convinzione che le esposizioni “più di ogni altra attività richiamano pubblico non residente e quindi generano un indotto esteso”. Questo si leggeva nelle note del Municipio.
I numeri e le mostre del MASI
È ancora così? Sono passati quasi dieci anni, e non dieci anni qualsiasi. C’è stata una pandemia mondiale che ha letteralmente sospeso per alcuni anni la normalità per come l’avevamo sempre conosciuta. A seguire, una situazione internazionale difficile, l’aumento dell’inflazione e, a livello nazionale, la chiusura prolungata della galleria ferroviaria di base del San Gottardo. Gli effetti di questi eventi hanno avuto pesanti strascichi su tutte le istituzioni culturali e forse in particolare i musei, visti i lunghi tempi necessari per preparare e allestire una grande mostra, per non parlare delle esposizioni programmate e poi annullate per motivi di forza maggiore.
Fino al 23 marzo 2025, il museo luganese presenta un’esposizione dedicata a Ernst Ludwig Kirchner e agli artisti del gruppo Rot-Blau.
In aprile si aprirà invece una mostra su Ferdinand Hodler e il pittore locarnese Filippo Franzoni, che metterà a confronto le opere dei due artisti di fine ‘800-inizio ‘900.
Per fare un bilancio dell’andamento del MASI e di chi lo frequenta, si deve partire dai numeri. Nel 2016 e nel 2018 il totale dei visitatori raggiungeva un picco di oltre 100’000 presenze: un grande successo. In seguito, tralasciando gli anni segnati dal COVID, nel 2022 si sono registrati in totale circa 55’000 visitatori e nel 2023 poco più di 66’000.
Chi ha vissuto Lugano negli anni ’90- inizio ‘2000 ricorderà i nomi che si sono susseguiti al Museo d’arte (ex Villa Malpensata e ora MUSEC). Modigliani, Schiele, Munch, Basquiat, Nolde, tanto per citarne alcuni. Ancora oggi molte persone ricordano con nostalgia i tempi delle lunghe code sul lungolago e il richiamo che suscitavano le esposizioni.
Per capire meglio come si inserisce attualmente il MASI nel panorama internazionale, abbiamo chiesto un parere a Bruno Corà, critico d’arte e già direttore del Museo d’Arte e coordinatore del Polo Culturale della Città di Lugano, che ha recentemente curato la mostra degli artisti Yves Klein e Arman, della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati. “Il MASI ha la qualità di essere uno degli avamposti dell’arte contemporanea in Svizzera, ha una programmazione assidua, una struttura e un organico molto forte. Questo museo è un’enclave tra l’Italia e il resto della Svizzera, ha una posizione chiave perché ha relazioni con città come Milano, Firenze e Torino in Italia e altre città elvetiche che hanno importanti musei come Basilea e Zurigo”.
Sulle scelte espositive del MASI, che possono essere percepite come sicuramente molto valide ma più ricercate rispetto ad altre città, Corà dichiara: “A Milano attualmente ci sono varie esposizioni di richiamo che fanno parte di una sorta di ‘pacchetto’. Palazzo Reale ha un suo peso perché raccoglie molto pubblico e ha un’offerta molto variegata. Le mostre di Lugano hanno una qualità molto alta, possono avere una certa circolarità e anche andare in altre sedi. Una mostra di Chagall, ad esempio, è meno originale oggi. Non ci sono state invece molte esposizioni di un artista importante come Alexander Calder (al MASI fino allo scorso ottobre, ndr). È stata una mostra più di nicchia forse, ma se fa grandi numeri diventa solido e non più una novità. È una scelta più originale”.
Com’è cambiato il pubblico d’oltreconfine?
Dai dati dei rapporti annuali, il pubblico che visita maggiormente il MASI proviene dalla Svizzera tedesca: le presenze totali si aggirano sempre intorno al 30%. Invece la percentuale dei visitatori italiani è tornata ai livelli pre-pandemici- intorno al 17% – anche se salta all’occhio come l’affluenza del pubblico oltreconfine (soprattutto lombardo) prima del 2015 era superiore e nella prima stagione targata MASI 2015-16 è documentata come pari al 20%. I ticinesi infine che visitano il MASI rappresentano circa il 23%. Un dato, quest’ultimo, che è sceso negli ultimi anni, perché fino al 2019 oscillava tra il 30 e il 33%.
Sarah Greenwood, responsabile Comunicazione, Marketing e Fundraising e membro della direzione del MASI, conferma: “Abbiamo una grande affluenza dalla Svizzera tedesca, anche se recentemente abbiamo registrato anche un aumento dei visitatori italiani grazie alla mostra di Alexander Calder e, attualmente, del fotografo Luigi Ghirri. Al contrario, la chiusura del tunnel ha ridotto il numero di persone da oltre Gottardo. La differenza principale tra i due pubblici è questa: il tipico visitatore dalla Svizzera tedesca si trova già in Ticino per una vacanza di più giorni o settimane e questo gli consente di avere tempo per una visita al museo, mentre il visitatore italiano viene spesso in giornata. Le statistiche sulle provenienze dei nostri visitatori rispecchiano l’andamento generale del turismo nella città di Lugano”.
Il rapporto con l’Italia e la Lombardia è comunque molto stretto tanto che Greenwood specifica: “Vista la nostra posizione geografica e culturale, l’Italia, e soprattutto la Lombardia, rappresenta per noi un pubblico di grande importanza. Le frontiere geografiche del nostro pubblico principale si estendono da Zurigo a Milano”.
In quest’ottica s’inserisce anche Como, città che da qualche anno sta vivendo un boom turistico e di immagine molto rilevanti. “Quest’anno abbiamo iniziato a investire più intensamente in pubblicità anche a Como e i risultati sono stati evidenti: a settembre abbiamo organizzato una giornata a ingresso gratuito, che ha attratto oltre 2500 persone – osserva Sarah Greenwood. Molti dei partecipanti hanno dichiarato di provenire da Como e dintorni, mentre altri si trovavano là per le vacanze”.
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