Il futuro di Biden incombe sul summit Nato a Washington
(Keystone-ATS) Il summit della Nato che s’inizia domani a Washington rischia di essere il canto del cigno per Joe Biden in una settimana forse decisiva per il suo destino politico.
Chiuso nell’ostinazione che ha contrassegnato la sua carriera, il presidente continua a respingere i crescenti appelli, pubblici e privati, a ritirarsi dopo il disastroso dibattito tivù con Trump, che ha confermato dubbi e sospetti sul suo stato di salute.
“Voglio che sappiate, nonostante tutte le speculazioni sulla stampa e altrove, che sono fermamente impegnato a restare in questa corsa, a correrla sino alla fine e a battere Donald Trump”, ha scritto in una lettera ai parlamentari democratici nel giorno in cui il Congresso ha riaperto dopo il ponte del 4 luglio e i Democratici si preparano a nuove discussioni sulla sua candidatura.
Biden chiede inoltre unità per non favorire il rivale: “Mancano 42 giorni alla convention e 119 alle elezioni. Una determinazione indebolita e una mancanza di chiarezza aiuterà Trump e ci indebolirà. E’ il momento di unirsi, andare avanti come un partito unito e battere Trump”.
Quindi ha rincarato la dose in un intervento a sorpresa su Msnbc, liquidando chi lo critica come “elite” e sfidando chi lo mette in discussione a “correre contro di me alla convention”: “L’elettore medio mi vuole ancora presidente. Non vado da nessuna parte. Ho battuto Trump l’ultima volta e lo batterò anche stavolta”.
Il presidente continua anche a minimizzare i sondaggi più catastrofici, sostenendo che il dibattito non ha spostato sostanzialmente elettori. Ma mantenendo questa linea rischia di trasformare il voto in un referendum sulle sue capacità anziché in un bivio tra lui e “un golpista fallito”, nonché “mentitore seriale”.
L’impressione è che nel partito, e tra i donatori, cresca la fronda anti Biden ma che si prenda tempo per non azzopparlo nel bel mezzo del vertice Nato e per studiare una exit strategy che non divida i dem tra chi punta tutto e subito su Kamala Harris e chi preferisce invece mini primarie per selezionare il nominato alla convention di Chicago a metà agosto.
Un “limbo” o un “purgatorio”, lo definisce qualcuno. Ma per Biden potrebbe diventare un inferno se qualcosa dovesse andare storto anche nel summit dell’Alleanza, un vero e proprio tour de force tra cerimonie, una cena alla Casa Bianca, lavori istituzionali, bilaterali (anche con Volodymr Zelensky) e – soprattutto – conferenza stampa finale, dove rischia il tiro al bersaglio. Tre giorni in cui tutti gli occhi e le telecamere saranno puntate su di lui, pronti a scrutare ogni gesto, il tono della voce, i suoi riflessi, col rischio di oscurare in parte quel vertice dove anche tra i suoi alleati serpeggiano timori sulla sua salute e sul futuro del sostegno a Kiev.
Eppure la Nato gli deve moltissimo in questo summit che celebra i 75 anni dell’Alleanza, ufficializza la nuova guida di Mark Rutte, dà il benvenuto alla Svezia come 32esimo alleato, vede l’esordio internazionale del nuovo premier britannico laburista Keir Starmer e lancia il ponte per l’ingresso dell’Ucraina. E’ stato Biden a ricostruire le alleanze compromesse da Trump e a rinvigorire la Nato, l’alleanza difensiva più forte e duratura della storia, ricompattata in un più ampio fronte occidentale contro l’invasione russa (insieme alla minaccia cinese) e cresciuta nelle spese militari: quando Biden si è insediato, solo 9 alleati spendevano almeno il 2% del Pil per la difesa, oggi sono 23 quelli che hanno raggiunto o superato quella percentuale.