Dazi USA sull’acciaio: “La situazione può condurre a un’escalation”
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Poiché gli Stati Uniti vogliono imporre dazi del 25% sulle importazioni di acciaio e alluminio, l'UE minaccia Donald Trump di adottare contromisure. La prospettiva di una nuova disputa commerciale risveglia brutti ricordi anche in Svizzera. Non sarebbe la prima volta che l’industria elvetica si trova tra l’incudine e il martello, spiega il vicedirettore di Swissmem, Jean-Philippe Kohl.
SRF: È preoccupato?
Jean-Philippe Kohl: Sì, siamo molto preoccupati per come si sta sviluppando la situazione. L’imposizione di dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio negli Stati Uniti colpisce anche la nostra industria, anche se il volume di esportazioni di questi prodotti verso gli USA è relativamente basso. La situazione potrebbe degenerare e improvvisamente coinvolgere gruppi di prodotti molto più ampi.
Jean-Philippe Kohl è vicedirettore e responsabile della politica economica presso Swissmem, la principale associazione svizzera delle piccole e medie imprese e delle
grandi aziende attive nell’industria tecnologica.
Come si presenta la situazione rispetto alle esportazioni verso l’UE?
Esportiamo acciaio e alluminio nell’UE per circa 2,7 miliardi di franchi, quindi molto di più che negli Stati Uniti. Se l’UE dovesse reagire con contromisure ai nuovi dazi statunitensi e volesse considerare la Svizzera come un Paese terzo, allora avremmo un serio problema
>> In questo servizio le considerazioni di Alberto Fossati, titolare di un’azienda ticinese che commercia acciaio:
L’ultima volta l’esperienza è stata molto difficile…
Sì, [nel 2019, ndr] l’UE ha adottato misure di protezione, temendo che la Cina avrebbe aumentato le esportazioni di acciaio verso l’Europa. Queste misure di protezione consistevano in dazi fino al 25% se si superava una determinata quantità di esportazioni.
La Svizzera era considerata un Paese terzo. Abbiamo potuto esportare entro un certo contingente. Questo contingente è però stato esaurito così rapidamente che le nostre aziende sono incappate nel dazio del 25% e non hanno più potuto esportare nell’UE.
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Cosa ha fatto la Svizzera allora per risolvere il problema?
Le nostre autorità si sono impegnate a garantire che la Confederazione non fosse considerata un Paese terzo, al pari degli Stati dello Spazio economico europeo, come la Norvegia, l’Islanda e il Liechtenstein. Ma non è andata a buon fine. L’UE non ha accolto la richiesta.
E naturalmente spera che questa situazione non si ripeta.
Sì, abbiamo la legittima aspettativa che ciò non si ripeta. La Svizzera e l’UE sono vicine alla conclusione degli accordi bilaterali III. Berna e Bruxelles si sono assicurate reciprocamente che faranno tutto il possibile per consentire la ratifica dei trattati. Se ora la Confederazione fosse nuovamente considerata un Paese terzo dall’UE e dovessimo ancora pagare dazi così elevati, questo principio verrebbe compromesso.
Non pensa che l’UE possa utilizzare questa minaccia come leva nella discussione sui bilaterali III?
Sarebbe controproducente. Conoscendo la sensibilità della popolazione elvetica, è chiaro che ci sarebbe un atteggiamento di rifiuto nei confronti dei nuovi accordi. Questo non è nell’interesse dell’UE.
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