L’italiano in Svizzera è “come un bicchiere di gazzosa fresca, buona ma la bevi raramente”
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Che percezione ha il resto del Paese della lingua italiana? Si ha voglia di impararla e, conoscerla, aiuta sul posto di lavoro? Quattro professionisti dei media che dal Ticino informano il resto della nazione hanno condiviso con noi la loro opinione.
L’italiano è la terza delle quattro lingue nazionali svizzere. Viene parlata da una piccolissima fetta della popolazione: poco più dell’8%. Però quanto è charmant? Quanto è poetica? Quanti punti si guadagnano agli occhi delle altre persone in termini di simpatia, appeal e savoir faire, quando la si parla?
Be’, il fatto che appeal, savoir faire e charme non siano espressioni in italiano, forse, è già di per sé significativo. Dopo una piccola ricerca amatoriale ci risulta infatti che l’italiano, agli occhi delle e degli svizzeri non italofoni, sia in un certo senso… trascurabile.
Dopo aver scritto e interpellato esperte ed esperti in merito al ruolo dell’italiano in Svizzera da un punto di vista istituzionale, sociale e dell’integrazione, abbiamo ora chiesto l’opinione ad alcune e alcuni professionisti dei media che, dal resto del Paese, sono venuti a vivere in Ticino e hanno dunque imparato l’italiano per riferirne negli organi mediatici d’oltre San Gottardo.
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A prestarsi a questo nostro scambio di impressioni personali sono stati i due corrispondenti della Radiotelevisione della Svizzera tedesca SRF Marcel Niedermann e Iwan Santoro; Andrée-Marie Dussault che collabora con il foglio ginevrino Le Temps e la giornalista e content creator indipendente Nora Hesse, trasferitasi a Gandria dalla Svizzera interna.
A usarlo è chi già lo conosce
Per Niedermann, la percezione che “il resto della Svizzera” ha dell’italiano è quello di una lingua molto bella, ma che allo stesso tempo vengano fatti pochi sforzi per impararlo. “C’è l’abitudine di venire in vacanza in Ticino ma storicamente ci si reca piuttosto nel Locarnese, dove la presenza del tedesco nei servizi turistici è prevalente”.
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Come Niedermann, il suo collega Santoro nota poi come in tutta la Svizzera ci sia una forte presenza di persone con un passato migratorio proveniente dall’Italia. “Questo fa sì che l’italiano sia familiare e lo si senta spesso parlare in giro; quando si fa la spesa, per strada, eccetera”, aggiunge Santoro.
Dussault, che è francofona di origini canadesi e prima di trasferirsi in Ticino ha vissuto in Svizzera francese, ha l’impressione che, fatta eccezione per il mondo accademico, l’italiano sia tenuto in poco conto. “Conoscerlo, a livello nazionale, non è sicuramente importante quanto le altre lingue e l’inglese”, ritiene la giornalista.
Una visione più poetica è quella invece di Nora Hesse che crede che le altre parti del Paese, quando sentono qualcuno parlare in italiano, pensano alla gioia di vivere, al cibo, alla buona musica e alla gente allegra. C’è però un ma. “La lingua è come un bicchiere di gazzosa fresca: la si ama, ma la si beve solo di tanto in tanto”.
Lavorativamente parlando
Per quanto concerne le opportunità lavorative in cui la conoscenza della lingua di Dante rappresenterebbe un vantaggio, ad Hesse vengono per esempio in mente il settore medico e quello dell’assistenza, la moda e il design, il turismo e la ristorazione. “Conoscere un’altra lingua è sempre un’occasione per aprire le porte, anche l’italiano”.
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Italofone e italofoni in Svizzera, un senso di appartenenza comune c’è anche se non è scontato
Meno ottimista è invece Niedermann: “No, non credo che professionalmente l’italiano venga ritenuto utile. Magari lo è per chi lavora per la Confederazione o le aziende parastatali, ma questa quota di mercato del lavoro viene già coperta da ticinesi o persone di origine italiana. L’offerta è già forte e non c’è domanda sufficiente”.
Iwan Santoro, il cui padre è immigrato dall’Italia meridionale negli anni Sessanta ha imparato la lingua della famiglia paterna solo a scuola. “Ho voluto impararlo perché è parte delle mie radici, ma non lo parlo bene e faccio tanti errori”. Dallo scorso anno è diventato corrispondente radiofonico dalla Svizzera italiana avendo così maggiori occasioni di praticarlo.
Per Santoro, l’italiano è considerato nella Svizzera interna “una lingua molto bella, elegante, legata a una cultura importante, ma c’è anche l’opinione che non sia poi così necessaria per il lavoro. E purtroppo lo si nota soprattutto tra le generazioni più giovani: l’interesse nell’imparare l’italiano sta diminuendo drasticamente. Lo dimostrano anche i dati relativi alle scuole di lingua, dove la domanda è molto bassa. L’inglese domina”.
Quest’ultima osservazione del giornalista di SRF viene supportata dai dati. Secondo gli ultimi a disposizione dell’Ufficio federale di statistica (UST), il numero di persone in Svizzera a cui capita di parlare inglese sul luogo di lavoro è nettamente maggiore rispetto a quelle chiamate ad esprimersi in italiano.
Dei quasi 4,5 milioni di cittadine e cittadini residenti con un lavoro, 4,3 si devono regolarmente esprimere in tedesco; 1,25 milioni in francese e oltre 1 milione di persone ha un impiego in cui si parla anche inglese. Sono solo 390’000 i lavoratori e le lavoratrici in Svizzera che usano regolarmente l’italiano.
Orgoglio nazionale da vetrina
Più che per una prospettiva lavorativa o di necessità, chi impara l’italiano, secondo Dussault, lo fa per essere più a proprio agio quando viaggia o perché ama le lingue. Detto ciò, “penso che tutte e tutti gli svizzeri siano orgogliosi delle loro quattro lingue nazionali, che ci tengano; anche se ritengono l’italiano non poi così pratico”, aggiunge la canadese.
Su una certa fierezza riguardo al plurilinguismo elvetico concordano anche gli altri colleghi di Dussault. “In Ticino, i turisti della Svizzera tedesca che conoscono un po’ di italiano vogliono sempre parlarlo – aggiunge Nora Hesse – anche con me, perché pensano che sia del posto. Io sto al gioco ogni volta, perché altrimenti restano delusi. Direi che le svizzere e gli svizzeri sono tendenzialmente molto orgogliosi del loro italiano”.
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Ritornando sulla nostra premessa iniziale, Marcel Niedermann ritiene che “l’italiano viene percepito come una forma di espressione dello charme, dell’arte, che fanno parte della cultura italiana. È percepita come lingua bellissima. Poi, per una questione di utilità, a volte si preferisce imparare piuttosto lo spagnolo”.
Percorsi diversi, stessa destinazione
Dopo aver vissuto a San Gallo, Berna e Zurigo, il corrispondente della televisione svizzerotedesca non è venuto in Ticino unicamente per il lavoro. Sta assorbendo la vita a sud del San Gottardo, dove vive da diversi anni con la famiglia. Torna in visita in Svizzera tedesca diverse volte all’anno ma si trova bene e si considera ormai integrato nella Svizzera italiana.
“Quando ho deciso che mi sarei trasferita in Ticino – racconta dal canto suo Nora Hesse –, ho fatto un corso intensivo di italiano. Per me è stato facile perché era la sesta lingua che imparavo. E, poiché in precedenza avevo imparato fluentemente lo spagnolo e il portoghese, l’italiano è venuto da sé”.
Hesse ha frequentato il liceo linguistico a Zurigo, portando lo spagnolo alla maturità. “Volevo viaggiare in Sud America e quindi imparare la lingua. Ricordo che tanti studenti sceglievano lo spagnolo perché parlato in molti Paesi del mondo, mentre l’italiano non era così popolare”, conferma la content creator.
La prima tappa in Svizzera di Andrée-Marie Dussault è stata a Ginevra dove, oltre ad aver studiato e lavorato, ha conosciuto il papà di sua figlia, un ticinese. Il suo avvicinamento all’italiano è quindi dipeso anche da questo evento casuale.
“Insieme parlavamo in francese ma avevamo qualche problema di comunicazione. Quindi ho deciso di iscrivermi a un corso di lingua a Firenze”. Come a volte capita nella vita, poi “ho capito che i problemi non erano legati alla lingua”. Dussault non è però tornata sui suoi passi riguardo alla decisione di continuare a vivere nella Svizzera italiana.
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