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Philip Morris e il tabacco italiano, un’alleanza controversa

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Una sigaretta con tabacco riscaldato, uno dei prodotti faro di Philip Morris International. Keystone / Christian Beutler

Da qualche anno, il tabacco e le sigarette in Italia non sono soltanto una questione di salute pubblica. Sono soprattutto un affare agricolo, industriale, geopolitico. E, come sempre, una leva importante di politica economica. Infatti, con il sostegno di Coldiretti e del Ministero dell’agricoltura, il Paese ha stretto alleanze, inedite in Europa, con multinazionali del tabacco, in particolare con Philip Morris International, che ha sede in Svizzera.

Quello che sta accadendo è osservato con crescente preoccupazione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Da Ginevra arrivano accuse pesanti: si parla di “delusione”, “mancato rispetto degli impegni internazionali” e del pericolo che un Paese firmatario della Convenzione quadro dell’OMS per il controllo del tabaccoCollegamento esterno apra la strada alla legittimazione globale dell’industria.

Per decenni, la filiera del tabacco è stata un pilastro dell’agricoltura nazionale. In regioni come Campania, Puglia e Umbria, migliaia di famiglie vivevano di questa coltura, sostenuta anche dai fondi europei. Ma le politiche antifumo, la liberalizzazione del mercato e i tagli agli aiuti comunitari hanno innescato un declino che sembrava irreversibile. Tra il 2004 e il 2014, la superficie coltivata si è più che dimezzata ed il settore era quasi sparito dai radar della politica.

Investimenti miliardari

La svolta arriva nel 2014, quando l’azienda con sede a Losanna inaugura a Crespellano, alle porte di Bologna, il suo primo stabilimento al mondo per la produzione su larga scala di dispositivi a tabacco riscaldato. Un investimento iniziale da oltre un miliardo di euro, che in meno di dieci anni supera i tre.

Con 3’000 dipendenti, quello emiliano è il cuore della rete globale della cosiddetta strategia “senza fumo” del gruppo e un hub logistico per decine di mercati

Nel frattempo, a Taranto e nel Casertano, la multinazionale ha aperto call center per l’assistenza alla clientela dei nuovi dispositivi, presentati dall’azienda — senza riscontri scientifici indipendenti — come alternativa meno nociva alle sigarette per fumatori incalliti e anziani. In realtà, in Italia questi prodotti spopolano soprattutto tra i giovani, paese in cui già fuma il 22% degli under 17 e oltre il 44% di tutti i fumatori ha iniziato prima dei 18 anni.

Nuovi prodotti, ma del tabacco non si può fare a meno

In Umbria, invece, è stato da poco inaugurato il primo centro di stoccaggio del tabacco destinato ai principali siti produttivi europei. Perché questi nuovi prodotti contengono comunque nicotina e quindi per produrli servono ancora grandi quantità di tabacco.

“L’industria non può prescindere dal tabacco”, spiega il professor Silvano Gallus, epidemiologo dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. “È un know-how che solo loro possiedono e per sopravvivere devono continuare a usarlo”.

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Malgrado le nuove tecnologie, il tabacco resta la materia prima indispensabile. Keystone / Jean-Christophe Bott

A differenza delle sigarette elettroniche, prodotte principalmente in Cina e il cui liquido può essere realizzato anche da piccoli laboratori, i dispositivi a tabacco riscaldato impongono alle multinazionali il controllo diretto della materia prima. Da qui, l’investimento massiccio nella filiera agricola italiana.

Dal 2011, l’azienda elvetica e l’organizzazione agricola più influente d’Italia hanno siglato un accordo di filiera, rinnovato fino all’ultima intesa del 2023, che coinvolge circa 1’000 agricoltori in Campania, Umbria e Veneto con l’obiettivo di garantire una fornitura stabile, tracciabile e conforme agli standard della multinazionale.

A consolidare l’alleanza, un protocollo Collegamento esternocon il Ministero dell’Agricoltura. “Si tratta di un’intesa che abbiamo sottoscritto qualche mese fa in cui PMI si impegna a comprare più o meno il 50 % del tabacco prodotto in Italia dai nostri agricoltori per i prossimi 10 anni”, spiega a tvsvizzera.it il sottosegretario al Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF) Patrizio Giacomo La Pietra precisando che “all’ interno ci sono una serie di linee guida per ottimizzare al meglio la produzione agricola italiana, come l’uso della tecnologia nei campi per una coltivazione tabacchicola meno impattante per l’ambiente ma anche programmi di formazione per giovani agricoltori”.

Ma Philip Morris non è l’unica ad aver puntato sull’Italia. Anche British American Tobacco (BAT)che due anni fa ha siglato un’altro protocollo d’intesaCollegamento esterno con il Ministero dell’agricoltura, ha investito nel Paese, inaugurando alla presenza del ministro delle imprese e del Made in Italy (MIMIT) Adolfo Urso un centro per l’innovazioneCollegamento esterno a Trieste sempre per produrre prodotti a tabacco riscaldato.

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Il quartier generale di Philip Morris International a Losanna. Keystone-SDA

La “delusione” dell’OMS

Pur monitorando da anni l’influenza dell’industria del tabacco sulle politiche pubbliche a livello globale, interpellato da tvsvizzera.it sul caso italiano, il Segretariato della Convenzione quadro dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per il controllo del tabacco ha inizialmente dichiarato di non essere a conoscenza dell’intesa siglata tra il Ministero dell’agricoltura e Philip Morris.

Ha poi chiesto un giorno per effettuare verifiche interne per poi inviare nota ufficiale via email in cui si dice “estremamente deluso nell’apprendere che uno Stato parte abbia facilitato un accordo a lungo termine con l’industria del tabacco.”

E ricorda che “l’articolo 5.3 e le sue linee guida vincolano l’intero governo del Paese firmatario a restare vigile di fronte ai tentativi dell’industria di minare gli sforzi di controllo del tabacco”.

Per l’OMS, l’accordo rappresenta dunque una violazione della Convenzione quadro per il controllo del tabacco, adottata nel 2003 e ratificata dal parlamento italiano nel 2008. Il trattato vieta infatti ogni forma di collaborazione tra governi e industria, salvo interazioni strettamente necessarie e regolamentate.

L’articolo 5.3 va anche oltre indicando che gli Stati sono tenuti a “proteggere le politiche sanitarie dall’influenza dell’industria del tabacco”.

Un interlocutore di primo piano

Eppure, in Italia, ormai l’industria del tabacco è un interlocutore istituzionale: partecipa a tavoli interministeriali, firma intese pubbliche, organizza competizioni per start-up insieme alle regioni. “La Convenzione è inequivocabile: vieta ogni partnership con l’industria”, spiega Gallus. “In Italia, l’industria del tabacco firma accordi con ministeri, l’arma dei carabinieriCollegamento esterno, associazioni agricole. È una contraddizione evidente”.

Una contraddizione che investe anche le scelte di politica agricola. L’articolo 17 della Convenzione invita infatti invita gli Stati a “promuovere alternative economicamente valide” alla coltivazione del tabacco.

Per il sottosegretario La Pietra, che considera il tabacco “un prodotto ambito dall’industria perché una delle tante eccellenze dell’agricoltura della penisola”, l’Italia, non può permettersi la desertificazione agricola di territori storicamente vocati alla tabacchicoltura” aggiungendo che “saranno il mercato e i cambiamenti climatici a determinare in futuro le eventuali alternative”.

Per ora, spiega il sottosegretario, l’obiettivo del protocollo non è quello di incrementare, ma di arrestare il calo della produzione. L’Italia, però, anche grazie ai nuovi accordi, continua a mantenere il primato europeo nella produzione di tabacco grezzo, seguita da Polonia, Grecia e Spagna, tutti paesi che negli ultimi anni hanno registrato un netto calo.

Lobby, visibilità e accesso: la strategia istituzionale

La presenza dell’industria del tabacco nel dibattito pubblico italiano non si limita alla produzione o alla filiera agricola. L’azienda ha costruito una strategia istituzionale sofisticata, volta a farsi percepire non come una multinazionale del tabacco, ma come un attore dell’innovazione, della sostenibilità e della transizione industriale.

>>> La Svizzera è uno dei Paesi in cui la lobby del tabacco è più influente.

Negli ultimi anni, i manager del gruppo hanno partecipato a decine di tavoli tecnici, convegni, fiere e consultazioni pubbliche. Philip Morris, che ha appena nominato come nuovo amministratore delegato per l’Italia l’ex Novartis Pasquale Frega, figura tra gli sponsor principali di eventi dedicati alla digitalizzazione, alla manifattura avanzata e alla formazione professionale.

Collabora con università, enti di ricercaCollegamento esterno e startup; promuove bandi per giovani imprenditori, sostiene l’imprenditoria femminileCollegamento esterno e finanzia progetti di economia circolare.

Secondo il Tobacco Industry Interference IndexCollegamento esterno – un indicatore che misura il livello di interferenza dell’industria del tabacco nelle politiche pubbliche, presentato all’ultimo congresso dell’Unione Internazionale Contro il CancroCollegamento esterno (UICC) di Ginevra, l’Italia si colloca al 75° posto su 90 Paesi analizzati: tra le peggiori performance in Europa. Solo Paesi come Svizzera e Stati Uniti, che non hanno ratificato la Convenzione quadro, fanno peggio.

La Svizzera ha firmato la Convenzione quadro per il controllo del tabacco (FCTC) nel 2004, ma non l’ha mai ratificata, rimanendo così uno degli unici Paesi in Europa insieme a Monaco ed Liechtenstein a non farne parte. Anche oggi, dopo l’entrata in vigore della nuova Legge sui prodotti del tabacco nell’ottobre 2024, la discussione sulla ratifica della FCTC resta in alto mare.

“La situazione è ancora più preoccupante” spiega Luciano Ruggia, direttore dell’Associazione Svizzera per la Lotta al Tabagismo. “Perché in Parlamento, al momento, non è in corso alcuna discussione sulla possibile ratifica”.

PMI, oltre alla sua sede mondiale a Losanna, dispone del suo centro di ricerca e produzione a Neuchâtel. “Continuano a sviluppare prodotti nocivi per la salute e a sfornare annualmente più di 12,8 miliardi all’anno di sigarette e stick di tabacco riscaldato indisturbati perché l’influenza di Philip Morris International in Svizzera è fortissima”.

E proprio in Svizzera, a Ginevra, si terrà nel novembre 2025 l’11ª Conferenza delle Parti (COP11) della FCTC, che esaminerà nuove piste per rafforzare la lotta globale tabacco. Chi tra i delegati deciderà di fare una passeggiata sul lago, dopo le sessioni di lavoro al quartier generale dell’OMS, passerà davanti al palazzo di vetro che ospita la sede svizzera di Japan Tobacco, l’altro colosso delle sigarette presente sul suolo elvetico

“Siamo ai primi posti al mondo per interferenze dell’industria nelle decisioni pubbliche”, osserva Gallus. “E non è un caso se dieci anni fa Philip Morris ha scelto Milano, insieme a Nagoya, per lanciare il primo dispositivo a tabacco riscaldato dieci anni fa”.

Regime fiscale agevolato

E l’atteggiamento della politica italiana nei confronti dell’industria del tabacco, che continua a finanziare le fondazioni legate ai principali partiti, su questo fronte non ha avuto colore politico. Il governo Renzi fu il primo ad accogliere i prodotti a tabacco riscaldato, applicando uno sconto sulle accise del 50% rispetto alle sigarette tradizionali. Ancora oggi, questi dispositivi beneficiano di un regime fiscale agevolato, con un’accisa pari al 39,5% di quella prevista per le sigarette, destinata a salire al 41% nel 2026. Un’impostazione decisamente più favorevole rispetto alla Germania, dove dal 2022 è in vigore un sistema più rigido che porta l’accisa all’80% rispetto alle sigarette tradizionali.

E sono tutte entrate che fanno sorridere l’erario italiano. Nel 2023, il gettito statale derivante dai prodotti del tabacco ha superato i 14 miliardi di euro: una cifra enorme, seconda solo alle accise sui carburanti, che rende il settore strategico per la finanza pubblica.

È proprio qui che si manifesta il cuore del paradosso italiano: mentre le campagne antifumo arrancano e i consumi tornano a crescere, nonostante le rassicurazioni del sottosegretario La Pietra, che ribadisce l’impegno del Paese a tutelare la salute dei cittadini e “rispettare gli accordi internazionali”, lo Stato continua a trarre profitti essenziali da ciò che dovrebbe scoraggiare.

Aumentare drasticamente il prezzo del pacchetto

Risorse preziose che, secondo l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), potrebbero crescere ulteriormente, ma essere destinate alle politiche di lotta al tabagismo. L’associazione, che ha tra i suoi obiettivi anche la promozione della prevenzione primaria, e quindi la lotta contro sigarette tradizionali, elettroniche e a tabacco riscaldato, propone come soluzione l’introduzione di una tassa di scopo: un aumento di 5 euro per pacchetto, che rafforzerebbe le casse della sanità pubblica.

L’ iniziativa, presentata in Senato in autunno da oncologi e rappresentanti istituzionali, tra cui la vicepresidente del Senato e medico Mariolina Castellone, è stata sostenuta anche dall’ex ministra della salute Beatrice Lorenzin che, come ha ricordato lei stessa, aveva già proposto una misura simile, scontrandosi però con “la resistenza dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero dell’Agricoltura”.

Oggi, quella stessa proposta torna con nuova forza, accompagnata da dati aggiornati: oltre 93’000 morti all’anno attribuibili al fumo, costi sociali pari a 26 miliardi di euro e un sostegno popolare del 62%, secondo un sondaggio dell’Istituto Mario Negri.

Il confronto con la Francia è eloquente. Tra il 2017 e il 2021, Macron ha aumentato le accise portando il prezzo medio di un pacchetto da 7 a 10 euro. Risultato: più entrate fiscali, meno fumatori – soprattutto tra i giovani.

“È una strategia vincente, sostenibile e replicabile”, conclude Gallus. “In Italia non si applica perché con pacchetti da 10 euro si perdono i giovani. E perdere i giovani significa perdere il futuro del business”.

Nel frattempo, per la prima volta dopo 25 anni, in Italia il consumo di sigarette tradizionali è tornato ad aumentare.

Tvsvizzera.it ha contattato Philip Morris International e Coldiretti ma non hanno risposto alle nostre domande.

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