Tracollo di Credit Suisse dovuto a “malagestione”, ma autorità non esenti da critiche
La Commissione parlamentare d’inchiesta ha pubblicato venerdì le sue conclusioni sulla vicenda che ha condotto al naufragio di Credit Suisse e alla sua acquisizione da parte di UBS.
La responsabilità della crisi che ha travolto quella che era la seconda banca più importante in Svizzera è imputabile prima di tutto alla dirigenza di Credit Suisse (CS), che per anni ha dato prova di “malagestione”, causando una “perdita di fiducia” nell’istituto e conducendolo in una situazione tale “da metterne a repentaglio l’esistenza nel marzo 2023”.
È quanto sottolinea venerdì la Commissione parlamentare d’inchiesta (CPI), che ha presentato il suo rapporto redatto all’attenzione delle Camere federali.
La CPI non ha rilevato “alcuna mancanza imputabile alle autorità nella crisi di CS”, che con il loro intervento “sono riuscite a impedire una crisi finanziaria globale”.
Le Commissioni d’inchiesta parlamentare sono estremamente rare in Svizzera. Quella creata per far luce sul tracollo di Credit Suisse era solo la quinta della storia.
La CPI era composta da 14 parlamentari (sette per ogni Camera) di tutte le principali forze politiche.
Negli ultimi 18 mesi ha tenuto 45 riunioni, durante le quali ha ascoltato 79 persone e analizzato oltre 30’000 pagine di documenti.
Il suo rapporto finale, di oltre 500 pagine, sarà esaminato dalle Camere nella sessione primaverile del 2025.
Carenze a tutti i livelli
Tuttavia, ha precisato la presidente della CPI, la consigliera agli Stati del Centro Isabelle Chassot, sono state constatate manchevolezze a tutti i livelli.
L’attività di vigilanza della FINMA (l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari) “è risultata solo limitatamente efficace”, malgrado i numerosi segnali d’allerta, si legge nel comunicatoCollegamento esterno della CPI.
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La commissione deplora in particolare il fatto che la FINMA non abbia revocato la garanzia di irreprensibilità alla banca e che le abbia, anzi, accordato alleggerimenti in materia di fondi propri. Benché legale, la misura si è rivelata inadeguata e ha nascosto quella che era la situazione finanziaria reale dell’istituto, ha osservato il consigliere nazionale dell’Unione democratica di centro Thomas Matter, tra i 14 parlamentari membri della commissione. “Il suo impatto – si legge ancora nella nota – è stato molto più incisivo del previsto e, senza la sua applicazione, le prescrizioni prudenziali in materia di fondi propri non sarebbero state adempiute da CS in modo lieve già dal 2021 e in modo netto dal 2022”.
Secondo la CPI, è necessario intervenire urgentemente in merito alla concessione di agevolazioni alle banche di rilevanza sistemica.
La CPI critica anche il fatto che la legislazione relativa alle banche “too big to fail” (troppo grandi per fallire) sia stata sviluppata in modo esitante e che la circolazione di informazioni tra le autorità non sia sempre stata sufficiente.
>> In questo articolo ripercorriamo la storia di Credit Suisse
Comunicazione lacunosa
La situazione di Credit Suisse è stata poco discussa tra la FINMA, l’Autorità federale di vigilanza dei revisori (ASR), la Banca nazionale svizzera e il Consiglio federale. Di conseguenza, le autorità coinvolte non avevano tutte lo stesso livello di informazione, rileva la CPI.
Le prime informazioni sintetiche sono state comunicate al Consiglio federale già nell’agosto 2022. L’ex capo del Dipartimento federale delle finanze Ueli Maurer ha tardato a informare il governo della situazione critica della banca, ha affermato il consigliere nazionale socialista Roger Nordmann. Le informazioni sono state fornite solo oralmente. Maurer ha giustificato la sua posizione con il timore di fughe.
Inoltre, ha affermato Nordmann, il cambio di responsabilità all’interno del dipartimento (Maurer si è dimesso alla fine del 2022 e il suo posto è stato ripreso da Karin Keller-Sutter) non ha funzionato come previsto.
Isabelle Chassot ha però sottolineato che non è il compito della CPI di “indicare se un consigliere federale ha avuto maggiori responsabilità di un altro”.
I lavori preliminari hanno dato i loro frutti
Nel suo rapporto, la CPI elogia comunque i lavori preliminari svolti dalle autorità per analizzare i diversi scenari alternativi per uscire dalla crisi. Già a dicembre 2022, la FINMA ha spinto Credit Suisse a prepararsi a una vendita d’urgenza, segnatamente a UBS.
Nonostante la sorpresa delle autorità federali per la crisi bancaria negli Stati Uniti, vi era a disposizione un’opzione realistica durante la fase acuta della crisi in marzo. Riuniti in una cellula di crisi, i differenti attori sono stati in grado di mantenere la solvibilità di Credit Suisse durante i pochi giorni tra il 15 marzo e l’acquisizione da parte di UBS il 19 marzo, evitando così una crisi finanziaria globale.
Quando è emerso lo scenario di una fusione con UBS, le posizioni delle due banche nelle trattative erano molto distanti l’una dall’altra. Le autorità hanno svolto un ruolo cruciale come mediatori e hanno sostituito in una certa misura il dialogo diretto tra le due banche, ha sottolineato la vicepresidente della CPI, la verde Franziska Ryser.
Poiché le trattative tra Credit Suisse e UBS erano incerte, le autorità hanno continuato a marzo a lavorare su diverse opzioni, tra cui un risanamento, un fallimento, una ripresa a breve termine da parte dello Stato o, come ultima risorsa, una fusione forzata con UBS.
Le autorità hanno garantito un equilibrio di interessi, ma anche le conseguenze finanziarie per la Confederazione. A causa del tempo limitato a disposizione, lo scenario scelto dal Consiglio federale era il più importante, ha concluso la CPI. Un’acquisizione da parte di un concorrente straniero sarebbe stata un’opzione “preferita” a medio termine, per evitare di ritrovarsi con un’unica grande banca in Svizzera. Tuttavia, questa opzione è stata scartata per mancanza di tempo.
Un catalogo di 20 raccomandazioni
La CPI non si limita a fare un bilancio di quanto avvenuto, ma chiede anche miglioramenti, formulando 20 raccomandazioni.
In particolare, propone di inserire la regolamentazione “too big to fail” all’interno di un quadro internazionale, adottando disposizioni più efficaci applicabili alle banche di rilevanza sistemica.
Secondo la CPI, occorre pure chiarire le regole per la cooperazione tra le autorità responsabili della stabilità finanziaria in Svizzera.
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