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Locarno77: “Il passero nel camino”, un viaggio verso la liberazione

(Keystone-ATS) “Il passero nel camino” di Ramon Zürcher, prodotto dal suo gemello Silvan, è il film svizzero che quest’anno concorre per il Pardo d’Oro. Il ritratto di una famiglia disfunzionale e del percorso di liberazione di una madre. Keystone-ATS ha incontrato i due fratelli.

“Il passero nel camino” (“Der Spatz im Kamin”), è il terzo capitolo della cosiddetta “trilogia animale” dei fratelli Zürcher e fa seguito a “Das merkwürdige Kätzchen” (2013, piccolo gatto strano) e a “La ragazza e il ragno” (“Das Mädchen und die Spinne”, 2021). Colpisce per i contrasti, ambientato in un’idillica casa nella campagna bernese, ritrae la riunione di una famiglia disfunzionale che si appresta a festeggiare il compleanno di Markus (Andreas Döhler), marito della protagonista Karen (Maren Eggert).

Nel corso del film Karen, madre odiata dai suoi tre figli, attraversa un percorso di liberazione personale, anticipato in qualche modo dall’immagine all’inizio del film in cui il passero rinchiuso nel camino viene liberato e si mette in volo, spiega il regista Ramon Zürcher.

Trilogia animale

“Il concetto della trilogia non esisteva dall’inizio del film, prima ho scritto e diretto ‘Das merkwürdige Kätzchen’ poi una volta terminato, Silvan ha iniziato a scrivere la sceneggiatura di ‘La ragazza e il ragno’ e io ho iniziato a scrivere ‘Il passero nel camino'”, dice Ramon.

Durante il processo di scrittura i due fratelli si sono resi conto che “alcuni aspetti erano familiari” e che i film erano legati. Da lì la decisione di farne una trilogia. “Ci sono aspetti formali importanti come la staticità e il movimento”, spiega Roman. Un contrasto fra i due è presente “già nel piano, ma anche nello sviluppo della trilogia”.

“La chiamiamo ‘trilogia animale’ ma quello che sta al centro dei tre film sono soprattutto degli esseri umani, delle relazioni, in particolare la famiglia”, aggiunge Silvan. I due fratelli si concentrano in particolare sulle zone d’ombra di queste relazioni. “Gli animali per noi non fanno parte di un simbolismo, ma aprono un reame per associazioni con i temi del film”, spiega.

Dalla staticità al movimento

“Il passero nel camino” si avvicina maggiormente al movimento rispetto agli altri film, aggiunge, “il film stesso è come un viaggio che parte dalla staticità e va verso il dinamismo, non solo formalmente attraverso la cinepresa ma anche la sceneggiatura e la psicologia dei personaggi”.

Ciò rappresenta in particolare il processo di liberazione di Karen anche metaforicamente reso allo schermo con “il viaggio dalla casa d’infanzia di Karen alla cascina nella foresta”, spiega Ramon.

La staticità e il movimento non sono gli unici contrasti presenti nella pellicola. “La costruzione del film nel suo intero è basata sull’idea di contrasti”, spiega Ramon. Cita ad esempio la musica: che passa da quella leggera a quella techno verso la fine. Oppure ancora, l’ombra presente nella casa e la luminosità dell’esterno.

Fra sogno e realtà

“Volevo parlare di una trasformazione”, spiega Ramon. Verso la fine del film, sogno e realtà si mescolano a tal punto che è difficile individuare cosa sia vero e cosa no. “Ci interessava il fatto che oscilla fra realtà e sogno”, spiega Ramon. “Mi piace che la realtà diventi fluida”, aggiunge.

“Il presente è un po’ come una proiezione del passato”, precisa. La casa è un luogo oppressivo per i ricordi dolorosi che a poco a poco riemergono: il padre di Karen si è suicidato proprio lì. Nel film ad esempio, Jule (Britta Hammelstein), sorella della protagonista, ricorda con astio la madre, un odio che vive la stessa Karen da parte dei figli. “Lo spazio diventa un mondo interiore, che riflette la psicologia di Karen”, precisa.

“Il bello è che quando mostriamo il sogno possiamo utilizzare cose un po’ astratte dei generi horror, giallo e espedienti psichedelici”, dice Roman. “Un’estetica più vicina all’incubo”. “Eravamo comunque limitati a causa della finzione in tempo reale, non potevamo utilizzare ellissi”, precisa Silvan. Il film si svolge unicamente sull’arco di due giorni.

Scelte artistiche comuni

I fratelli Zürcher lavorano in stretta collaborazione ma non hanno un ruolo specifico. “Nei tre film è stato sempre diverso”, spiega. “Facciamo spesso insieme le scelte artistiche indipendentemente dai ruoli che abbiamo”, precisa Ramon. “Silvan è il primo a leggere la sceneggiatura e darmi un feedback”.

“Questa è la prima volta che abbiamo un film in concorso ad un festival. Ci sentiamo un po’ in una bolla – è surreale. Ma è eccitante ed è una grande gioia, anche se non manca un po’ di nervosismo”, dice Roman.

“Circa 23 anni fa, la prima volta che siamo venuti al Locarno Film Festival, eravamo nella giuria di ‘Cinema e Gioventù'”, dice Silvan, “Ci siamo innamorati del festival siamo tornati una quindicina di volte”. “Qui abbiamo visto molti film che ci hanno segnati”, aggiunge, “è geniale poter presentare un nostro film”. “Per noi Locarno è un luogo personale, con molte storie”.

Il cast, principalmente composto da attori tedeschi, conta anche un’attrice svizzera: Paula Schindler, classe 2001, che interpreta Kristina, una delle figlie di Karen, al suo debutto sul grande schermo. La troupe era composta unicamente da svizzeri tranne il direttore della fotografia.

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