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Netanyahu, ‘Hamas liberi i rapiti o sabato sarà guerra’

Keystone-SDA

Le sorti del cessate il fuoco a Gaza sono ormai appese ad un filo mentre ricominciano a rullare i tamburi di guerra. Israele e Stati Uniti, compatti come non mai, hanno lanciato l'ultimatum ad Hamas.

(Keystone-ATS) Se non manterrà fede all’impegno di rilasciare altri ostaggi sabato prossimo, sarà di nuovo guerra fino alla “sconfitta definitiva” del nemico, ha annunciato Benjamin Netanyahu al termine di una lunga riunione di sicurezza.

Un aut aut ribadito da Donald Trump, evocando “l’inferno” a Gaza, ma che al momento sembra essere stato respinto dalla fazione palestinese. E la situazione, se possibile, è resa ancora più incendiaria dalla linea durissima su cui insiste la Casa Bianca per il futuro della Striscia: i gazawi via per sempre dalla propria terra per essere ricollocati in Paesi vicini come Giordania ed Egitto. Il presidente americano lo ha ribadito in un teso faccia a faccia con re Abdallah, dopo aver minacciato di tagliare gli ingenti aiuti militari ad Amman ed al Cairo.

A Gaza le lancette hanno ripreso a correre veloci verso il precipizio, che vorrebbe dire la ripresa delle ostilità dopo tre settimane di tregua. Lo strappo di Hamas, che ha deciso di sospendere il sesto scambio di prigionieri per protesta contro presunte violazioni degli accordi da parte di Israele, ha riportato in massima allerta l’esercito dello Stato ebraico. Netanyahu, dopo oltre quattro ore di riunione con il suo esecutivo, ha dettato la linea: “Se Hamas non restituisce gli ostaggi entro sabato a mezzogiorno, il cessate il fuoco verrà interrotto e l’Idf tornerà a combattere intensamente”. Subito dopo è scattata la mobilitazione dei riservisti e il comando meridionale ha iniziato ad elaborare i piani per tornare in battaglia.

Il premier israeliano non ha specificato il numero dei prigionieri che si aspetta rientrino in patria sabato, se cioè i tre concordati in precedenza o tutti quelli ancora in mano ad Hamas, e proprio questa ambiguità ha contribuito ad alzare ulteriormente il livello della tensione. Con l’estrema destra dell’esecutivo, guidata Bezalel Smotrich, che ha colto l’occasione per invocare l’immediato rilascio di ogni rapito.

Su questa ambiguità ha giocato anche Trump, chiedendo ad Hamas “tutti gli ostaggi” indietro nel prossimo scambio di prigionieri. Il presidente americano inoltre è sembrato voler soffiare sul fuoco della crisi, affermando di non credere che la fazione palestinese avrebbe rispettato i suoi impegni. Non a caso il gruppo islamico ha risposto denunciando che le “minacce” americane “complicano le cose”, per poi far sapere in serata che la sua posizione non cambia. La scadenza di sabato verrà rispettata solo se Israele farà la sua parte: smettere di sparare ai palestinesi, non ritardare il rientro degli sfollati nel nord e sbloccare l’invio di mezzi per rimuovere le macerie.

I muscoli mostrati da Trump ad Hamas sono lo specchio di una strategia che mira a consentire a Israele di vincere su tutta linea, archiviando di fatto la prospettiva dei due Stati per due popoli. Ne è prova il suo piano per trasformare Gaza in una sorta di lussuoso resort, senza palestinesi. A dispetto delle rimostranze del mondo arabo. “Non c’è niente da comprare. La prenderemo in base all’autorità Usa, la terremo e la custodiremo gelosamente”, ha ribadito oggi Trump nello Studio Ovale davanti al re di Giordania Abdallah II. “Alla fine ci riusciremo e creeremo molti posti di lavoro per la popolazione del Medio Oriente. Penso che potrebbe essere un diamante”, ha affermato.

Il sovrano giordano per ora ha promesso che il suo Paese accoglierà 2000 bambini di Gaza, alcuni dei quali affetti da cancro, ma non ha dato una risposta diretta alle richieste ben più impegnative di Washington, ossia prendersi carico insieme all’Egitto di tutti i gazawi. Facendo sfoggio di diplomazia araba, Abdallah ha fatto buon viso a cattivo gioco affermando che “Trump può portarci al traguardo della pace e della stabilità in Medio Oriente”. Amman ha troppo da perdere, a partire dai miliardi di forniture militari americane, per sfidare platealmente gli Stati Uniti.

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