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persona fissa un cartello su una parete

Oggi in Svizzera

Care lettori,

Da ormai un anno, le nostre giornate sono dettate da questo maledetto virus e inevitabilmente l'insofferenza tra la popolazione verso le misure di contenimento decise dal Governo cresce. Tanto più che la chiusura di bar, ristoranti e attività non essenziali - in vigore sino a fine febbraio - potrebbe essere prolungata.

Insomma, per il momento non si vede ancora quando si potrà finalmente uscire dalla crisi. Una situazione che si rispecchia anche nel nostro bollettino di oggi. Difficile infatti trovare notizie che non riguardano la pandemia.

Sperando che presto potremo voltare pagina e parlare d'altro, vi auguro buona lettura.

persona fissa un cartello su una parete
Keystone / Gian Ehrenzeller

La strategia del confinamento per arginare il coronavirus è fallita: è quanto sostiene l’Unione svizzera delle arti e mestieri (Usam), lanciando un appello per la fine del lockdown.

“Ogni giorno in più trascorso in confinamento causa costi enormi e grandi sofferenze”. Lo scrive martedì l’associazione che rappresenta gli interessi delle oltre 500’000 piccole e medie imprese svizzere. Secondo l’Usam, la priorità va data a una politica mirata alla riapertura dell’economia e della società dal primo marzo, quando in teoria dovrebbero concludersi le chiusure attuali.

Il malcontento nei confronti delle misure decise dal Governo federale e dai Cantoni è intanto sempre più percettibile anche tra la popolazione. Una petizione online che domanda la fine delle misure restrittive lanciata alla metà di gennaio, ha raccolto finora oltre 87’000 firme.

Gli esperti della task-force Covid-19 della Confederazione mettono però in guardia: a causa della contagiosità della variante britannica (nonché un primo caso confermato di variante brasiliana), gli ospedali potrebbero rapidamente raggiungere di nuovo i loro limiti di capacità. Per questa ragione, dobbiamo aumentare i nostri sforzi anziché ridurli, ha affermato il responsabile della task-force Martin Ackermann.

bambini in classe con mascherina
Keystone / Ennio Leanza

Mascherine sì o mascherine no alle elementari? Fino a poco tempo fa, i pediatri svizzeri propendevano per la seconda soluzione. Le nuove varianti del coronavirus hanno però modificato la situazione.

In novembre, la Società svizzera di pediatria aveva preso posizione contro l’obbligo di indossare la mascherina per i bambini di età compresa tra sei e dodici anni.

Nel frattempo, sono apparse le nuove varianti del Sars-CoV-2. In diverse località svizzere sono scoppiati dei focolai nelle scuole, che hanno costretto le autorità a chiudere intere sedi.

I pediatri svizzeri hanno così modificato le loro raccomandazioni e ora consigliano la mascherina sin dalla scuola elementare, in particolare in quei cantoni in cui la situazione epidemiologica è più difficile. Questo strumento di protezione – affermano in sostanza – è il male minore se paragonato al fatto di non poter andare a scuola.

schermo di un computer
© Keystone / Christian Beutler

Il 7 marzo prossimo, i cittadini svizzeri sono chiamati alle urne per esprimersi sulla Legge federale sui servizi d’identificazione elettronica.

Il testo getta le basi per la creazione di un sistema che dovrebbe garantire l’accesso sicuro ai servizi online e per effettuare transazioni elettroniche. Contro la legge approvata dal Parlamento è stato lanciato un referendum. I contrari non si oppongono all’idea della creazione di un’identità elettronica, ma al fatto che l’emissione di identità digitali sia affidata a operatori privati. Il timore è che i dati raccolti possano essere utilizzati per altri scopi.

Chi sostiene la legge sottolinea invece che il “modello svizzero” della condivisione delle responsabilità tra il settore privato e lo Stato abbia avuto successo in passato. Inoltre, gli esempi di altri Paesi hanno dimostrato che i sistemi nazionali centralizzati non sono sempre la panacea. Secondo loro, le aziende private sono meglio qualificate per rivestire il ruolo di fornitori, perché sono più innovative e flessibili dello Stato, che tipicamente fissa le regole e supervisiona le attività.

persone per strada
Keystone / Martin Ruetschi

Il Centro culturale svizzero di Parigi, uno dei fiori all’occhiello della presenza culturale svizzera al di fuori dei confini della Confederazione, sarà ristrutturato.

Assieme all’Istituto svizzero di Roma, che ha la sua sede principale nella prestigiosa Villa Maraini, il Centro culturale svizzero di Parigi è una delle principali istituzioni all’estero il cui scopo è di presentare la creazione artistica e culturale elvetica e di promuovere gli scambi.

Fondato nel 1985 e situato nel cuore del quartiere del Marais, il Centro culturale svizzero ha bisogno di essere ammodernato. Il progetto di rinnovamento diventa ora realtà. La Fondazione Pro Helvetia, da cui dipende, ha infatti annunciato martedì di avere affidato l’incarico agli studi di architettura Truwant+Rodet di Basilea e Thomas Raynaud di Parigi.

I lavori, di un costo di sei milioni di franchi, inizieranno nel 2022 e dovrebbero concludersi due anni dopo. Durante questo periodo, il centro proporrà una programmazione extra muros.

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