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Donne protestano sulla piazza federale di Berna.

Oggi in Svizzera

Care lettrici e cari lettori,

la notizia che ha tenuto banco oggi in Svizzera è indiscutibilmente l'evento annuale dedicato ai diritti delle donne. Quest'anno ribattezzato "sciopero femminista", sta vedendo in queste ore una ventina di città svizzere invase da un'ondata pacifica di persone, non solo di genere femminile, con una lista nutrita di rivendicazioni sui diritti fondamentali e anche su aspetti specifici della vita quotidiana, dalla pensione al congedo maternità. Dominante il colore viola e travestimenti creativi di ogni sorta.

Parliamo oggi anche di cyberattacchi: da alcuni giorni le infrastrutture informatiche dell'amministrazione elvetica sono sottoposte a intrusioni e iniziative di disturbo, che stanno rendendo difficile l'accesso a siti istituzionali anche importanti.

Buona lettura!

Donne protestano sulla piazza federale di Berna.
© Keystone / Alessandro Della Valle

Le donne scendono in piazza in diverse città svizzere per difendere i loro diritti. Al centro delle rivendicazioni in questa giornata dello sciopero femminista vi è l’uguaglianza salariale.

Oltre a diversi eventi in programma in diverse località della Svizzera, manifestazioni sono previste oggi in una ventina di città, perlopiù nel tardo pomeriggio. Le discriminazioni sul posto di lavoro, in particolare per quanto concerne le remunerazioni, sono uno degli aspetti centrali dello sciopero femminista. La differenza di stipendio non giustificata, ovvero a parità di incarico e posizione, tra uomo e donna rappresenta ancora circa l’8%, hanno sottolineato i sindacati.

Oltre alla questione salariale, sono però anche necessarie misure “su scala nazionale per lottare contro la violenza di genere, sessuale e domestica“, ha dichiarato una delle figure di spicco del movimento, la consigliera nazionale ecologista Sibel Arslan, coordinatrice della Rete delle donne verdi.

La giornata del 14 giugno è stata scelta poiché coincide con l’inserimento nel 1981 nella Costituzione svizzera dell’articolo che sancisce la parità di diritti tra donna e uomo. Quest’anno oltre alle donne sono invitate allo sciopero anche le persone appartenenti alla comunità LGBT+, ovvero lesbiche, gay, bisessuali, transgender e non binari.

Carro armato Leopard 2 durante un esercitazione.
Keystone / Valda Kalnina

L’esercito svizzero potrà mettere fuori servizio 25 carri armati Leopard 2, che potranno poi essere rivenduti alla Germania. Lo ha deciso mercoledì il Consiglio nazionale, che ha anche approvato un aumento del tetto massimo delle spese delle forze armate.

Degli oltre 200 carri armati Leopard di proprietà dell’esercito, 96 sono in disuso. Per 25 di questi ultimi non è previsto alcun ulteriore utilizzo e pertanto possono essere messi fuori servizio e venduti senza pregiudicare le necessità dell’esercito, secondo il Governo. La maggioranza della Camera bassa ha seguito il parere dell’esecutivo, approvando la proposta di metterli fuori servizio.

I carri armati saranno venduti al loro fabbricante tedesco Rheinmetall. “La Germania ci ha assicurato che non finiranno in Ucraina“, ha ricordato la ministra della difesa Viola Amherd. La proposta era combattuta dall’Unione democratica di centro (destra conservatrice), secondo cui così facendo si riducono le capacità dell’esercito per il futuro. “Il nostro esercito può fare a meno di questi 25 carri armati senza che le sue capacità siano indebolite”, ha replicato Viola Amherd.

Il Consiglio nazionale ha anche avallato l’aumento di 660 milioni di franchi del tetto massimo delle spese dell’esercito per il periodo 2021-2024, che sarà così portato a 21,7 miliardi. Approvato anche il programma di armamento 2023, che prevede un importo di 725 milioni di franchi, tra cui 217 milioni per l’acquisto di 24 carri armati granatieri e 300 milioni per il sistema di difesa terra-aria Patriot.

Ritratto recente della senatrice svizzera Isabelle Chollet.
Keystone / Anthony Anex

Nominata la presidente della Commissione d’inchiesta parlamentare (CPI) sul caso Credit suisse. La consigliera agli Stati Isabelle Chassot guiderà il gremio che indagherà sui retroscena della crisi.

La nomina della senatrice è avvenuta al primo turno di voto, hanno comunicato il presidente del Consiglio nazionale (la camera bassa), Martin Candinas (Centro) e quella degli Stati (la camera alta) Brigitte Häberli-Koller (Centro) in un incontro con la stampa a Berna.

Isabelle Chassot, 58 anni, giurista di formazione, è dal 2021 Consigliera agli Stati per il Centro, eletta in rappresentanza del Canton Friburgo. È stata direttrice dell’Ufficio federale della cultura

La Commissione d’inchiesta parlamentare (CPI), sarà composta da in tutto 14 membri, da entrambe le Camere, ed avrà il compito di indagare sugli eventi che hanno portato al fallimento di Credit suisse e su come le istituzioni coinvolte hanno gestito tutte le fasi della crisi del colosso bancario elvetico, fino all’assorbimento da parte di UBS.

La CPI è l’organo d’indagine più importante e rigoroso previsto dall’ordinamento svizzero. Solo quattro sono state finora le commissioni di questo tipo, in tutta la storia della Confederazione. Da notare che in due occasioni, due presidenti di una CPI sono poi entrati in Consiglio federale, ovvero Kurt Furgler nel 1972 e Moritz Leuenberger nel 1995.

Monitor e tastiera di computer al buio.
Keystone / A4796/_silas Stein

Siti dell’amministrazione federale da alcuni giorni stanno subendo attacchi informatici. Analisti dei servizi di sicurezza attribuiscono i cyberattacchi ad un gruppo filo-russo.

Giornate complicate per chi si occupa di sicurezza per l’infrastruttura informatica nella Confederazione. Molti siti stanno infatti subendo una serie di intrusioni e di azioni di disturbo, che ne stanno in parte compromettendo la funzionalità. Finora sono stati colpiti aeroporti, le Ferrovie federali svizzere (FFS), ma anche dipartimenti federali.

A portare avanti l’azione sarebbe un gruppo di hacker noto con lo pseudonimo di “NoName”. La ragione dell’intervento sarebbe una forma di protesta contro la prevista partecipazione (virtuale) del presidente ucraino Volodymyr Zelensky ad una sessione del Parlamento federale di Berna.

In contemporanea, diverse amministrazioni cittadine e un cantone hanno confermato di essere altresì sottoposte ad azioni analoghe. Si tratta del cantone di Basilea Città e delle città di Zurigo, Losanna e San Gallo. Anche in questo caso si tratterebbe del gruppo “NoName”.

Di recente erano stati colpiti da un gruppo che si fa chiamare “Play” l’esercito svizzero, l’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC), l’Ufficio federale di polizia (Fedpol) e diversi corpi di polizia cantonali. A fine maggio è finita sotto attacco la redazione del quotidiano zurighese Neue Zürcher Zeitung (NZZ).

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