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Frontalieri, critiche all’accelerazione di Lombardia e Ticino

Auto di frontalieri in coda alla dogana di Ligornetto (Ticino)
Auto di frontalieri in coda alla dogana di Ligornetto (Ticino) Keystone / Pablo Gianinazzi

Sta suscitando un polverone la lettera firmata lo scorso 30 aprile dal governatore lombardo Attilio Fontana e dall'ex presidente del governo ticinese Christian Vitta e indirizzata ai rispettivi ministri dell'Economia sull'annosa questione dei frontalieri.

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Con la missiva i due esecutivi sollecitavano Roma e Berna senza ulteriori indugi l’intesa tecnica raggiunta dalle delegazioni italiana e svizzera nell’ormai lontano dicembre 2015 con alcune varianti.

Un accordo mal digerito dalla comunità di lavoratori pendolari che ogni mattina varcano il confine elvetico per l’inasprimento, soprattutto per le fasce di reddito più alte, del carico fiscale che ne deriverebbe. Oltre alle proteste che si sono subito sollevate sui social media, sono piovute le critiche di viversi esponenti di area progressista nelle province di confine per quella che è stata interpretata come un’inattesa fuga in avanti.

In particolare i parlamentari dem Alessandro Alfieri e Chiara Braga hanno definito inaccettabile la proposta, ritenuta intempestiva (adottata nel pieno dell’emergenza coronavirus) e peggiorativa per i frontalieri, e chiesto l’audizione dell’assessore lombardo competente, Massimo Sertori, presso la commissione regionale per i rapporti con la Confederazione.

Si tratta di un’iniziativa “inopportuna in questa fase, non condivisibile nel merito, pessima nel metodo: i sindacati e i comuni che dicono di aver coinvolto si sono dissociati nettamente”, ci conferma il senatore del Pd.

I dissensi principali riguardano l’abolizione dell’imposizione esclusiva della Svizzera (più favorevole) sui lavoratori residenti nella fascia di 20 chilometri dal confine e il versamento della metà del previsto surplus fiscale incassato dall’Italia alla Regione, in sostituzione degli attuali ristorni fiscali che Berna trasferisce (via Roma) ai comuni di frontiera. 

Inoltre il nuovo regime tributario (per tutti si applicherebbe la tassazione italiane detratta la quota trattenuta alla fonte dal fisco svizzero) entrerebbe subito in vigore per i nuovi frontalieri mentre per quelli attualmente impiegati varrebbero disposizioni transitorie per un periodo limitato di due o tre anni, secondo fonti sindacali (invece dei 10 indicati nell’intesa del 2015).

Ma anche sul versante elvetico non sono mancate le critiche all’iniziativa: per il sindacato OCST, che ha chiesto ai due Stati di bloccare ogni decisione di ratifica lamentando il mancato coinvolgimento delle parti sociali e dei comuni interessati, “la notizia è talmente assurda che sembra quasi irreale”.

Da parte sua l’assessore lombardo agli Enti locali, con delega per i rapporti con la Confederazione, Massimo Sertori, ha precisato che il sistema a doppia fiscalità “possa prevedere possibili deduzioni” e che comunque la proposta è stata formulata “in un’ottica costruttiva e nell’intento di sbloccare una situazione in stallo da ormai 5 anni, che rischiava di compromettere il percorso di dialogo coltivato negli anni con i territori di confine”.

Ma agli occhi di molti frontalieri questa accelerazione, che aggraverà il loro carico fiscale, gioverà unicamente al Canton Ticino il cui mercato del lavoro dovrebbe subire meno pressioni da parte della manodopera straniera.  

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