Elezioni regionali, che ne sarà del governo?
Cosa ne sarà del governo dopo il voto regionale? Se da una parte il Pd può dire di non aver perso (troppo) o addirittura di aver vinto, il suo alleato di governo esce con le ossa rotte. Sebbene non fosse un voto politico e in parlamento il M5s detiene saldamente la maggioranza relativa, una cosa sembra essere certa: da queste elezioni il Pd potrebbe dettare l’agenda politica del governo Conte, il quale agendo sottotraccia durante la campagna elettorale, potrebbe essere il vero vincitore.
Lo dicono tutti. Sono state delle elezioni dall’esito davvero diverso rispetto alle aspettative di politici, sondaggisti, opinionisti e anche scienziati politici. La maggior parte degli attori in gioco pensava di vivere una spallata dell’opposizione alla coalizione di governo. Sono invece state delle elezioni all’insegna della stabilità politica.
La politica non è una partita di calcio. Lo sappiamo. Il 3 a 3 uscito dalle urne non per forza in politica si traduce in un pareggio. “Tutte le forze politiche, come spesso capita, si attribuiscono la vittoria”, ci dice Nicola Pasini, professore di scienze politiche all’Università Statale di Milano. “Di fatto è stata una vittoria della coalizione governativa anche se si dovrebbe parlare di vittoria dei singoli candidati alla presidenza. Si è trattato di un voto fortemente personalizzato”. Come ricorda Pasini, “alcuni pronosticavano un 6 a 0, altri un 5 a 1, altri ancora un 4 a 2 sempre a favore del Centrodestra. Invece le urne hanno dato ragione, soprattutto in Toscana, al Pd che era il partito che oggettivamente rischiava di più”.
Nicola Zingaretti poteva perdere tutto. Invece ne è uscito bene. Non così il Movimento 5 stelle. Il mancato radicamento sul territorio lo ha decisamente penalizzato. “Sulle grandi questioni – sottolinea Pasini – il M5s è molto forte, riesce a intercettare parte dell’opinione pubblica, ma laddove si deve entrare nella logica regionale e locale il movimento resta debole”.
Un voto dalla valenza politica nazionale?
Normalmente il voto amministrativo non ha una valenza politica a livello nazionale. “In questo caso però – aggiunge Pasini – possiamo dire il contrario, perché i rapporti di forza all’interno del governo potrebbero cambiare dopo questo voto”. Va ricordato che in parlamento la maggioranza relativa la detiene sempre il Movimento 5 stelle che certamente farà rispettare i propri numeri. “Certo è che da queste elezioni il Pd potrebbe imporre nell’agenda politica una lista della spesa da far digerire al M5s, a partire dal Mes e come dovranno essere spesi i fondi europei, che sono tanti”, ricorda Pasini. Poi il Pd – aggiunge Pasini – “immagino voglia incalzare il Movimento 5 stelle sulla riforma della legge elettorale che non è in sintonia con quella dei pentastellati”.
Da questo gioco di equilibrio, Giuseppe Conte ne esce rafforzato. “Certo il Presidente del Consiglio potrebbe avere le sue difficoltà a trovare un equilibrio tra due forze politiche in competizione tra loro. Se dovesse però riuscire a mantenere questo equilibrio – aggiunge Pasini – Giuseppe Conte potrebbe portare a termine la legislatura, magari con un rimpasto”. Sentiamo il parere di Nicola Pasini:
Che ne sarà dei partiti?
Il Pd ha perso le Marche, ma ha vinto perché ha evitato la Caporetto (tenendosi stretta la Toscana, ma anche la Puglia e la Campania). Questo, ricorda Pasini, anche perché il partito ha sostenuto candidati per così dire anomali. De Luca ha giocato una partita tutta sulla sua persona. Così come ha fatto Emiliano in Puglia e in Toscana anche Giani, che per molti resta un renziano, sebbene sia restato nelle fila del Pd.
“Sia Emiliano sia De Luca – sottolinea Pasini – sono delle personalità anomale rispetto ai candidati soliti del Pd. Questi sopravvivono alle logiche del Pd e il partito dovrà fare i conti con due presidenti regionali che vanno spesso per la loro strada”.
E la Lega?
Il professore della Statale non è tenero con Salvini: “la Lega di Salvini esce ridimensionata dal voto soprattutto perché Salvini ha abbandonato i temi cari alla Lega, come il federalismo, l’autonomia e il decentramento dei poteri ed ha accarezzato il sovranismo. Salvini ha cercato di spostare il partito da temi federalisti a temi nazionalisti”. Con successo, inizialmente, ma ora sembra che questa scelta non sia più redditizia.
“Dall’agosto 2019 – continua Pasini – Salvini è in difficoltà nel scegliere i temi dell’agenda politica, nel fissare le priorità e fare in modo che ci sia un ampio consenso su scala nazionale nei confronti delle sue proposte”.
Questo a vantaggio di Fratelli d’Italia, dove Giorgia Meloni si presenta ormai come una rivale di Salvini per la leadership del Centrodestra e non solo come un’alleata fedele.
I pentastellati restano un movimento e non un partito politico. Questi ultimi erano e sono molto legati al territorio. Ciò che manca al M5s. Il Movimento invece punta e puntava sulla protesta. Alla prova del governo è dovuto venire a patti e una volta arrivato al potere sembra amarlo particolarmente. “Molti militanti della base – sottolinea Pasini – non amano il compromesso con il potere e per la prima volta il movimento è diviso anche per la leadership. Grillo, anche se fuori da ogni logica da un lato; poi c’è Casaleggio, che detiene il potere e il ‘copyright’ del movimento. Poi c’è Di Maio in governo e Di Battista fuori dal parlamento che cerca di cavalcare il malcontento degli elettori che non si sentono rappresentati dalla linea governativa. Poi c’è Conte che potrebbe essere l’erede politico”.
E qui si gioca la partita, secondo Nicola Pasini dell’Università Statale di Milano. “Si deve monitorare la dinamica tra parlamento e governo e soprattutto tenere d’occhio la tensione collaborativa tra Pd e M5s. La tenuta del governo è una prova di collaborazione tra i due partiti che lo sostengono e non è messa in pericolo dalle forze dell’opposizione”.
Come dire che il Centrodestra deve mettersi il cuore in pace e guardare con un certo distacco ciò che accade in parlamento e nel governo, in attesa del prossimo appuntamento elettorale, che saranno le politiche del 2023. Perché ormai tutti o quasi scommettono sulla tenuta del governo Conte. Sentiamo ancora Nicola Pasini:
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