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Frontalieri in affitto, l’ultima moda del mercato ticinese

Nonostante i vincoli di natura legale posti alla manodopera proveniente da oltre frontiera, non accenna a diminuire l’afflusso di frontalieri in Ticino, che rappresentano ormai un lavoratore su quattro (27,1%) in base ai rilevamenti di fine 2016.

A inizio ottobre è finalmente entrato in vigore, dopo alcuni rinvii, il contestato albo cantonale degli artigiani che doveva frenare la concorrenza dei padroncini italiani nel settore dell’edilizia e lo scorso 25 settembre è stata approvata alle urne l’iniziativa “Prima i nostri”, che sta però incontrando numerose difficoltà di ordine pratico e giuridico nelle modalità della sua attuazione.

Ma il numero dei lavoratori pendolari dall’Italia ha ormai raggiunto quota 64’327 (al 31 dicembre 2017). A preoccupare è l’esplosione degli interinali, in buona parte stranieri residenti e soprattutto frontalieri, una tendenza che sembra andare di pari passo con l’irrigidimento del mercato del lavoro. Non a caso si sta assistendo a fenomeni nuovi di assunzione precaria e temporanea.

Proprio in questi giorni sulla stampa sono comparse notizie di incolonnamenti all’alba nella zona industriale a nord di Lugano dove vengono assegnati incarichi della durata di una giornata in imprese edili in varie località del cantone. Tutto legale, beninteso (almeno in apparenza), anche se c’è chi avanza ipotesi che assomigliano molto a nuove forme di caporalato.

Il sospetto, avanzato anche in alcuni ambienti sindacali, è che si utilizzino modelli di lavoro flessibili (e conseguentemente precari), come gli impieghi “in affitto” (interinali) per aggirare i vincoli introdotti con la legge sulle imprese artigiane (LIA) nei confronti degli autonomi (padroncini) italiani. Lo testimonierebbe l’aumento di lavoratori interinali da 4’400 a 11’500 in pochi anni.

Una quota sicuramente ancora ridotta ma in crescita esponenziale su cui offriamo l’analisi del sindacalista dell’OCST Giorgio Fonio, firmatario di un’iniziativa parlamentare sul tema.

 

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