Secondo il Rapporto annuale dell’Osservatorio sulla libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione europea, nel 2015 l’immigrazione dai paesi UE è leggermente calata: quasi 48 mila persone, 3 mila in meno rispetto al 2014. Non però nelle regioni di confine.
Chi ha trovato lavoro nella Confederazione, frontalieri compresi, è meno qualificato e meno pagato di qualche anno fa. L’analisi della Segreteria di stato dell’economia (SECO) sul 2015 dice in particolare che in Ticino i frontalieri, che sono il 24%, guadagnano il 6% in meno dei lavoratori residenti.
Per la direttrice della SECO Marie-Gabrielle Ineichen-Fleisch, il quadro non è preoccupante: “6% non è dumping salariale, e non abbiamo prove che ci sia sostituzione sistemica della manodopera residente con frontalieri”.
Ma il ministro ticinese dell’economia Christian Vitta reagisce: la realtà dietro ai numeri non è sempre rosea. Basti pensare ai 15 contratti normali di lavoro introdotti dove urgevano salari minimi. Il Ticino detiene il primato svizzero, come per le 3 mila multe alle aziende e i 1’200 divieti a padroncini e distaccati.
Nel video [sopra], le valutazioni di Vitta e Ineichen-Fleisch.
Resta il dato dei lavoratori “meno qualificati”. Per il sindacato UNIA, non si tratta di un reale peggioramento della qualità della manodopera: spesso le competenze ci sono, ma non sono riconosciute e pagate.
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