Scoppia la guerra del sushi al confine italo-svizzero
Stanno diventando un caso gli assembramenti alle dogane, soprattutto nel fine settimana, per l'acquisto di pasti dai ristoratori italiani d'oltre confine. E diversi politici ticinesi chiedono che finisca il caos ai valichi.
Bar e ristoranti sono chiusi in Svizzera da prima di Natale e lo resteranno almeno fino ad aprile, secondo quanto ha comunicato proprio mercoledì il Consiglio federale (gli esercizi che lo vogliono possono comunque tenere aperte le cucine per l’asporto). Nel frattempo però Lombardia e Piemonte sono tornati in zona gialla dal primo di febbraio, anche se le vigenti prescrizioni per entrare in Italia (tampone negativo effettuato nelle ultime 24 ore o motivi di lavoro o necessità) scoraggiano il turismo della tavola.
Code alle dogane
Una situazione che ha però creato un nuovo fenomeno che sta suscitando polemiche in Canton Ticino: chi non vuole rinunciare ai piatti confezionati oltre frontiera, infatti, da diverse settimane è solito ordinare per telefono o su web il menu desiderato e i ristoratori consegnano le libagioni alla dogana.
Ma più che di cucina italiana, si tratta di piatti asiatici offerti dalla decina di ristoranti orientali spuntati a ridosso della frontiera nella regione del Lago Ceresio, in particolare al di là dei valichi di Lavena Ponte Tresa, Cremenaga e Fornasette (Varesotto), che sono frequentati quasi esclusivamente da clientela confederata.
Di situazione “inaccettabile” e “problema di ordine pubblico” ha parlato negli scorsi giorni il sindaco di Monteggio Piero Marchesi, che ha scritto a polizia cantonale e Amministrazione federale delle dogane chiedendo di intensificare i controlli e impedire il caos alle dogane: “Il fatto di non avere un presidio costante (delle guardie di confine, ndr) permette a maleducati di abusare di terreni privati, della strada cantonale e dell’area doganale per sostare con l’automobile, bloccando la circolazione stradale e creando così un problema di sicurezza”, ha tuonato alla Radiotelevisione svizzera RSI il presidente cantonale dell’Udc.
La replica di guardie di confine e agenzia delle dogane
Sui media locali l’Amministrazione federale delle dogane ha precisato che “l’area doganale svizzera, per vari motivi – in particolare legati ad aspetti di sicurezza e viabilità – non è idonea per essere utilizzata quale zona di scambio di merci” e per questa ragione “in linea di principio simili operazioni non sono previste”. Inoltre, è stato messo in campo “un dispositivo congiunto proprio per intensificare questo tipo di controllo ai valichi interessati”.
Dall’altro lato del confine l’Agenzia delle dogane e monopoli fa sapere che “a livello di esportazione non sono stati rilevati grossi problemi legati al cibo d’asporto” e “i controlli dinamici nella fascia di confine, come avviene da parte svizzera, sono sempre garantiti”. Vale comunque il principio secondo cui “lo stazionamento negli spazi doganali, non giustificato da adempimenti doganali o attraversamento del confine, non è consentito e se riscontrato deve essere risolto”. In ogni caso, assicurano le autorità italiane, “si terrà presente il fenomeno segnalato”.
Quindi, alla luce di queste prese di posizione dovute e, per certi versi, diplomatiche, ci si deve attendere a breve un’intensificazione dei controlli ai confini atti a evitare situazioni caotiche.
Resta fatto che di per sé, questo tipo di scambi al confine, fino a quando non violano la normativa sull’ordine pubblico e le disposizioni anti-Covid, non possono essere impediti, come sottolinea il presidente della Confcommercio-Ascom Luino Franco Vitella. “Il take-away è permesso da ambo le parti” e “finché tutto si limita alla barriera doganale e a un ristoratore che fa una consegna, che non è a domicilio ma al confine”, questo deve essere tollerato. A suo giudizio, per evitare assembramenti, “basterebbe organizzarsi meglio”.
Ticinesi golosi bacchettati
Ma le critiche di questi giorni non nascono solo per i presunti mancati controlli alle frontiere ma si indirizzano soprattutto sui consumatori elvetici? “Sono comportamenti discutibili, considerato il difficile momento dell’economia locale”, insiste Piero Marchesi.
“Di servizi che offrono sushi sul territorio ticinese ce ne sono diversi”, rincara il presidente del governo ticinese Norman Gobbi, che a inizio febbraio aveva chiesto a Berna di intervenire per far cessare gli sconfinamenti a scopo culinario-ricreativo da parte dei ticinesi. “Sosteniamo i nostri commerci, che sono poi quelli che noi aiutiamo come Stato a livello finanziario”, ha aggiunto il ministro leghista.
Anche se poi la questione è sempre la stessa, come ammettono a mezza voce coloro che si mettono pazientemente in coda, in attesa della consegna dell’agognato pasto: “I prezzi del sushi in Ticino sono veramente inaccessibili”…
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