I frontalieri francesi potranno lavorare da casa fino al 40%
Svizzera e Francia hanno siglato un accordo che suggella la prassi già in atto dallo scoppio della pandemia di coronavirus e che permette ai lavoratori e alle lavoratrici frontalieri di lavorare da casa fino al 40% del tempo di lavoro annuale. Con l'Italia, invece, l'intesa si fa attendere.
Berna e Parigi hanno firmato martedì un accordo aggiuntivo alla Convenzione per evitare le doppie imposizioni (CDI) che contiene nuove norme per l’imposizione dei redditi derivanti dal lavoro a domicilio.
Il testo, che dovrà ora essere approvato dai rispettivi Parlamenti, fornisce una base legale alla pratica in atto dall’inizio della pandemia.
I lavoratori e le lavoratrici frontalieri potranno così continuare a svolgere fino al 40% del loro tempo di lavoro annuale a domicilio continuando però a pagare le tasse allo Stato del datore di lavoro.
Con la convenzione precedente ciò non era possibile, poiché le CDI prevedono in generale che il reddito derivante da un’attività lucrativa dipendente sia tassato nello Stato in cui l’attività venga fisicamente svolta.
Tasse trasferite allo Stato di domicilio
La soluzione prevede inoltre che lo Stato in cui si trova il datore di lavoro trasferisca a quello di domicilio del lavoratore o della lavoratrice il 40% delle tasse riscosse sulle retribuzioni che il collaboratore ha percepito lavorando da casa.
Al fine di garantire l’applicazione delle nuove disposizioni è previsto uno scambio automatico di informazioni relative ai dati salariali.
“La soluzione negoziata – precisa una nota del Dipartimento federale delle finanze – rappresenta un risultato equo che riflette gli interessi finanziari dei due Stati, degli enti e dei Cantoni interessati”.
Con l’Italia si è ancora in alto mare
Se con la Francia tutto è filato liscio come l’olio, con l’Italia la regolamentazione della questione del telelavoro della manodopera frontaliera procede più a rilento.
Lo scorso aprile, Berna e Roma avevano sottoscritto un accordo amichevoleCollegamento esterno per prorogare sino al 30 giugno 2023 le disposizioni transitorie relative al telelavoro, simili a quelle applicate in via definitiva con la Francia.
Il 31 maggio, però, durante il dibattito in Senato sull’accordo fiscale tra Svizzera e Italia, i tentativi di regolamentare in modo duraturo il telelavoro per i lavoratori e le lavoratrici frontalieri, sostenuti da tutte le forze politiche, sono naufragati.
Cosa succederà dopo il 30 giugno 2023? Scopritelo in questo articolo:
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Da impegno a “opportunità di vagliare”
Il sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli ha chiesto che l’impegno chiesto al Governo di trovare un’intesa definitiva con la Svizzera fosse derubricata a una più semplice “opportunità di vagliare”.
“Se il Governo annacqua gli ordini del giorno, anche quelli della Lega, che fa parte dello stesso Governo, mi sembra più una presa in giro che una reale volontà di risolvere il problema. Detto questo, accetto la riformulazione, ben consapevole del fatto che non affronterete il tema e che lo lascerete cadere fino al prossimo Governo”, aveva affermato il senatore dei Cinque Stelle Bruno Marton.
Della questione telelavoro si è tornato a discutere in Senato proprio ieri, martedì, durante il dibattito sulla ratifica della Convenzione generale di sicurezza sociale con il Principato di Monaco che prevede, tra le altre cose, di garantire agli italiani e alle italiane che lavorano nel piccolo Stato di poter usufruire della possibilità di esercitare la propria professione da casa senza implicazioni fiscali.
“È curioso che la Repubblica italiana decida di accordare agli italiani che lavorano nel Principato di Monaco la possibilità di avere due terzi dell’orario in telelavoro, mentre per i 60’000 transfrontalieri che si recano in Svizzera questa facoltà non c’è”, ha dichiarato il senatore di Azione-Italia Viva, Enrico Borghi. “Chiediamo al Governo – ha aggiunto – che è in contraddizione con sé stesso, di intervenire nel più breve tempo possibile per evitare disparità”.
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