Il telelavoro dei frontalieri deve essere tassato in Svizzera
Il Governo svizzero vuole fissare nella legge la prassi attualmente in vigore con la Francia: la manodopera frontaliera che effettua parte del lavoro a domicilio deve poter essere tassata nella Confederazione.
Le norme attualmente in vigore in materia di imposizione fiscale della manodopera frontaliera non sono più adatte alla diffusione del telelavoro. Il Consiglio federale vuole ora creare una base giuridica in base alla quale le persone frontaliere che lavorano in parte a casa siano tassate interamente nella Confederazione. Il relativo progetto per modificare il diritto fiscale nazionale è stato posto in consultazione da venerdì fino al 2 ottobre.
Attualmente le convenzioni per evitare le doppie imposizioni che regolano l’imposizione dei lavoratori e delle lavoratrici frontaliere si fondano sul principio in base al quale il reddito da lavoro è imponibile nel luogo in cui viene svolta l’attività lavorativa. Il coronavirus ha però stravolto tutto ciò e questi trattati si sono trovati superati.
Durante la pandemia, la Svizzera ha trovato coi Paesi confinanti, ad eccezione dell’Austria, delle soluzioni temporanee per far sì che le persone frontaliere in telelavoro continuassero a pagare le loro imposte in Svizzera. Nel frattempo, però, questi accordi sono scaduti.
L’unico Stato con cui l’intesa è stata prorogata e resa definitiva è la Francia. Dal primo gennaio 2023, i frontalieri e le frontaliere francesi possono svolgere fino a un massimo del 40% del loro tempo di lavoro annuale in patria “senza che sia messo in discussione il diritto d’imposizione dello Stato in cui ha sede il luogo di lavoro”, si legge nel messaggioCollegamento esterno del Governo.
Oltre a dover essere regolato da un trattato internazionale, il sistema di imposizione necessita però anche una base legislativa interna. Da qui la necessità di intervenire con la revisione presentata venerdì.
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Per la Svizzera è importante trovare una soluzione, poiché fiscalmente ne esce perdente.
Nel messaggio è menzionato l’esempio dell’Austria, con cui durante la pandemia non è stata trovata un’intesa per continuare a tassare la manodopera frontaliera nella Confederazione.
“A causa del lavoro a domicilio svolto durante il periodo pandemico, l’amministrazione delle contribuzioni del Cantone di San Gallo ha dovuto rimborsare tra i 4,4 e i 5,5 milioni di franchi di imposta alla fonte, il che corrisponde a circa il, 7,5-9,5% del gettito complessivo dell’imposta alla fonte”, si legge ancora nel messaggio.
E con l’Italia?
Anche con l’Italia è stata sottoscritto un accordo temporaneo. Scaduta il 31 gennaio scorso, l’intesa è stata prolungata in via transitoria fino al 30 giugno di quest’anno.
Concretamente, al pari di quanto avviene con la Francia, gli italiani e le italiane frontalieri possono lavorare da casa per il 40% senza avere impatti tributari.
La dichiarazione amichevole firmata il 20 aprile scorso tra Berna e Roma per prolungare questa soluzione sino a fine giugno prevedeva che il Governo italiano si attivasse per trovare una soluzione per disciplinare in modo “stabile e duraturo” il telelavoro.
Ciò sarebbe potuto avvenire in teoria durante il passaggio in Senato dell’accordo fiscale tra i due Paesi, ratificato definitivamente dall’Italia il 31 maggio.
La richiesta del Movimento 5 Stelle, sostenuto da tutte le forze politiche, di obbligare il Governo a “intervenire, nelle sedi opportune, al fine di prolungare l’accordo amichevole per lo svolgimento delle modalità di lavoro da remoto sino alla formalizzazione tra Italia e Svizzera di apposita regolamentazione che disciplini dette modalità di lavoro per i lavoratori frontalieri in modo da renderlo strutturale per il periodo successivo a giugno 2023” è stata derubricata.
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Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Giorgio Silli, ha fatto cancellare l’ultima frase, ovvero “in modo da renderlo strutturale per il periodo successivo a giugno 2023” e quello che era un obbligo è diventato “un’opportunità da vagliare”.
Insomma, per l’Italia non c’è fretta. Se non sarà trovata una soluzione entro il 30 giugno, le persone frontaliere che effettuano parte del loro lavoro da casa rischiano così di trovarsi il fisco italiano davanti alla porta. La dichiarazione amichevole siglata in aprile dalla ministra delle finanze Karin Keller-Sutter e dal suo omologo italiano Giancarlo Giorgetti è chiara: la norma è transitoria è “non è prorogabile” al di là di questa data.
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