Immigrazione italiana, la vicenda dei “figli proibiti”
Le norme elvetiche non consentivano alle e agli "stagionali" assunti in Svizzera di portare con sé i familiari.
Uno dei nervi scoperti dell’immigrazione italiana in Svizzera riguarda lo statuto di stagionale. Per decenni le figlie e i figli di questa categoria di lavoratori e lavoratrici hanno vissuto in clandestinità o lontano dai genitori, collocati da parenti, in istituti religiosi o negli orfanatrofi.
Questo tipo di permesso temporaneo, in vigore dal 1931 al 2002, non permetteva infatti alla manodopera straniera di portare con sé le famiglie.
Oltre a un soggiorno limitato a nove mesi all’anno, lo statuto di stagionaleCollegamento esterno prevedeva ridotte prestazioni delle assicurazioni sociali e una scarsa autonomia degli operai: divieto di cambiare datore di lavoro e luogo di domicilio nel corso della stagione, divieto di ricongiungimento familiare e difficoltà nel rinnovo dei permessi.
Nel 1964 l’Italia ottenne che i permessi stagionali fossero trasformati in autorizzazioni annuali dopo cinque stagioni consecutive, concessione che nel 1976 venne estesa anche agli immigrati provenienti da altri Paesi.
Ma si trattava pur sempre di una condizione precaria e discriminatoria per queste lavoratrici e lavoratori stranieri, che è stata costantemente criticata, ma che in definitiva è stata soppressa solo in seguito all’entrata in vigore della libera circolazione delle persone nel 2002.
Le rivelazioni dei bambini e delle bambine di allora son o state recentemente oggetto di studi e ricerche che hanno portato alla luce un fenomeno assai più vasto di quanto si sia potuto immaginare finora.
Nell’approfondimento del settimanale di informazione della RSI Falò numerose testimonianze, soprattutto tra coloro che sono stati costretti a trascorrere la loro infanzia lontano dai genitori, nei collegi italiani lungo il confine svizzero.
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