Indemini, un lembo di terra svizzera in Italia
Il villaggio di Indemini, oggi frazione del comune di Gambarogno, è l’ultimo lembo di terra ticinese, una sorta di enclave. Per secoli isolato dal resto del Ticino, il nucleo del paese giace a poche centinaia di metri dal confine con l’Italia. Sebbene orograficamente in Italia, la popolazione di Indemini si è sempre sentita svizzera e nonostante la vicinanza con la Val Veddasca, i rapporti con i vicini italiani sono sempre stati tiepidi.
Vi proponiamo a partire da questo contributo un breve viaggio in una Svizzera sconosciuta. Non tanto per i luoghi in sé (alcuni sono davvero turisticamente molto noti) quanto per la loro storia o per una loro peculiare caratteristica.
Vi portiamo a Indemini in Ticino, a Gondo in Vallese e a Samnaun nei Grigioni. I tre villaggi condividono una caratteristica particolare: tutti i tre sono politicamente svizzeri da sempre ma geograficamente appartengono alle nazioni vicine, Italia (Indemini e Gondo) e Austria (Samnaun).
Nonostante questa caratteristica comune, c’è un aspetto curioso, quello linguistico, dove l’evoluzione è stata per i tre villaggi completamente diversa. Se a Indemini si parla italiano come nei comuni limitrofi italiani, a Gondo non c’è stata contaminazione e si continua a parlare unicamente lo svizzero tedesco. Questo nonostante Gondo sia sul confine con l’Italia e Domodossola resti un centro di riferimento (25 chilometri da Gondo). A Samanun, per contro, il romancio ha lasciato il passa all’alto tedesco bavarese (caso unico in Svizzera): gli abitanti non parlano ormai da tempo il romancio e non sono stati contaminati dallo svizzero tedesco. Vedremo il perché.
I tre villaggi condividono diverse caratteristiche ma differiscono in molti altri aspetti. Per conoscerli abbiamo fatto un viaggio in questi tre villaggi atipici. Oggi iniziamo con Indemini in Ticino.
Saliamo verso Indemini dal lato italiano. La strada sul lato ticinese è in via di rifacimento. Da Maccagno, sul lago Maggiore, si sale lungo la Val Veddasca che culmina in territorio elvetico. La strada provinciale 5, dopo 2 chilometri dall’ultimo abitato italiano, Biegno, superato il confine di Stato, diventa strada cantonale. In meno di un minuto si arriva al paesino di Indemini. Un tempo comune, dal 2010 è una frazione di Gambarogno.
Geograficamente in Italia, politicamente svizzera
Indemini (939mt s.l.m.) è sul territorio della Val Veddasca ed è più vicina ai paesi italiani che non a Vira Gambarogno a cui è collegata da una strada tortuosa (poco più di 17 chilometri che per percorrerli ci si impiega 35 minuti) che si raggiunge solo dopo aver superato il Passo di Neggia (1395 s.l.m). Il villaggio è raggiungibile anche con i mezzi pubblici grazie al servizio svolto con regolarità da AutoPostale.
Ci vogliono anche sul lato italiano 35 minuti per raggiungere Indemini da Maccagno e i chilometri da percorrere sono anche in questo caso circa 17 (la strada è altrettanto tortuosa e spesso anche più stretta). La sola differenza è che lungo la val Veddasca si incontrano 5-6 villaggi abitati. Sono appena le 8 di mattina e ne approfittiamo per far colazione in un bar di Armio.
Tipico villaggio ticinese
Arrivati a Indemini parcheggiamo la nostra vettura vicino a un bus di AutoPostale che oggi non fa servizio vista la strada chiusa. Ci guardiamo attorno e siamo immediatamente catapultati in un tipico villaggio ticinese di montagna, con le sue stradine tortuose e strette, poggiato ai piedi del Colle Sant’Anna e rivolto verso sud. Qui tutto è verde e regna il silenzio. Di fronte, ma una valle ci divide, riconosciamo il monte Tamaro e il Monte Lema.
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Le case del nucleo storico sono costruite in gneiss grigio della regione, con i tetti in pietra e i pergolati in legno, che conferiscono al villaggio un suo carattere unico. Ad attenderci nel solo ritrovo pubblico del villaggio, il ristorante Indeminese, c’è Fausto Domenighetti, l’ultimo sindaco di Indemini e vera memoria storica del villaggio.
Il paese conta oggi 48 iscritti in catalogo “ma a viverci tutto l’anno – racconta Domenighetti – saremo in 25 e originari di Indemini siamo ancora in tre. Gli altri abitanti sono svizzeri tedeschi, persone che avevano una casa di vacanza qui e che vi si sono stabiliti dopo la pensione perché qui si trovano bene”.
L’arrivo della strada e fine dell’isolamento
È solo durante la Prima Guerra Mondiale che, dal versante svizzero, una strada sinuosa conduce da Vira Gambarogno sul lago Maggiore al villaggio di Indemini attraverso il Passo di Neggia (1395 s.l.m). La strada – ci racconta Domenighetti – è stata costruita dai militari tra il 1913 e il 1918. Prima c’erano solo delle mulattiere. Si partiva da Indemini, si doveva superava il colle di Sant’Anna, per poi scendere verso Gerra o San Nazzaro. Da lì si raggiungeva il resto del cantone”.
Non a caso i lavori sono iniziati nel 1913. Proprio in quell’anno gli abitanti di Indemini, con voto popolare, scelsero di restare a vivere nel villaggio e respinsero l’offerta della Confederazione che prevedeva il loro trasloco a valle e la cessione del villaggio all’Italia.
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Era anche l’epoca in cui le donne si facevano carico dei trasporti. “Quando ancora non c’era la strada – ricorda Domenighetti – le donne partivano al mattino da Indemini e scendevano fino a Gerra. Questo con qualsiasi tempo, estate e inverno. Le donne scendevano cariche di prodotti da vendere e risalivano verso Indemini con la posta e la merce che serviva per vivere. Era una vita veramente dura”.
Contrabbando per sopravvivere
Come in molte realtà di confine, all’epoca gli abitanti di Indemini miglioravano i loro magri introiti agricoli dedicandosi al contrabbando. “In tempo di guerra – precisa Domenighetti – era più un contrabbando per la sopravvivenza: riso dall’Italia e caffè dalla Svizzera. Negli anni successivi fino verso il 1970 è poi subentrato il contrabbando delle sigarette, gestito però dalle cosiddette bande che arrivavano dal resto del Cantone”.
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La scuola e la collaborazione con l’Italia
Dopo il lento spopolamento, Indemini ha anche conosciuto momenti di sviluppo demografico importante a fine del ventesimo secolo. Diverse giovani famiglie si sono trasferite nel villaggio tanto da permettere la riapertura della scuola elementare che era stata chiusa nel 1969. “Nel 1997 – ricorda l’ex sindaco di Indemini – abbiamo potuto riaprire la scuola grazie a queste giovani famiglie che avevano diversi bambini. Certo, non raggiungevamo il numero legale per poter aprire una scuola ma abbiamo ottenuto un permesso speciale dal Cantone visto la situazione geografica.
Abbiamo aperto anche la scuola d’infanzia grazie ai bimbi che giungevano da alcuni villaggi della val Veddasca. Per circa dieci anni tutto ha funzionato molto bene. Poi i ragazzi son diventati grandi, non son più arrivate altre giovani famiglie e abbiamo così dovuto chiudere nuovamente la scuola”.
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Dalla metropoli alla montagna
La collaborazione con i vicini abitati italiani non si ferma alla scuola d’infanzia. Dal 1969 Indemini non ha più un prete in paese e la Curia di Lugano con l’allora Comune di Indemini hanno raggiunto un accordo con la parrocchia di Maccagno: il prete che si occupa della val Veddasca una volta alla settimana celebra una funzione religiosa a Indemini.
Però la collaborazione finisce qui. “Questo è vero – ammette Domenighetti –, noi siamo più orientati verso la Svizzera, anche d’inverno quando fa brutto e c’è la neve sulle strade. Superiamo il nostro passo di Neggia e giù verso Vira. Siamo legati alle nostre abitudini e va bene così”.
Turismo verde
Più recentemente, il turismo verde è riuscito a fermare lo spopolamento. Oggi Indemini offre numerosi alloggi per vacanze nelle case in pietra restaurate e attira anche in inverno gli ospiti alla ricerca di tranquillità e gli amanti della natura. “Abbiamo molto cura del nostro paese – conclude Domenighetti – perché il turismo è una risorsa importante. Oltre alle abitazioni di vacanza c’è un ostello comunale per la gioventù e abbiamo creato una casa per gli artisti. Grazie ai tanti turisti che trascorrono intere settimane qui a Indemini anche il ristorante e il piccolo negozietto di alimentari possono restare aperti. E così si va avanti”.
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