I partiti anti-migranti hanno più successo sui confini grazie alla retorica

Il successo dei partiti critici nei confronti della migrazione nelle regioni di confine svizzere non è dovuto alle reali minacce causate dall'immigrazione, ma piuttosto alla narrazione di queste formazioni politiche.
La ricerca – condotta da Ala Alrababah del Dipartimento di scienze sociali e politiche dell’Università Bocconi di Milano con Andreas Beerli, Dominik Hangartner e Dalston Ward del Politecnico federale di Zurigo (ETHZ) e pubblicato sull’”American Political Science Review” – ha analizzato il successo dei partiti anti-immigrazione nelle regioni di confine della Svizzera dopo l’introduzione della libera circolazione delle persone con l’Unione europea nel 2004. Questo cambiamento di politica ha portato a un aumento dei lavoratori frontalieri, soprattutto nei comuni a ridosso dei confini.
Tuttavia, a differenza di altri casi in cui l’immigrazione scatena ansie culturali dovute a differenze religiose o etniche, i nuovi arrivati in Svizzera assomigliano molto alla popolazione locale, sottolineano gli autori dello studio.
Anche le preoccupazioni economiche, un altro fattore causale frequente del sentimento anti-immigrati, non si sono concretizzate: la ricerca non ha portato alla luce alcuna prova che l’afflusso di lavoratori stranieri abbia influito negativamente sui salari o sui tassi di occupazione, al contrario.
Due decenni d’indagini
Le indagini condotte nell’arco di due decenni mostrano che i cittadini delle regioni a ridosso del confine non hanno nemmeno percepito soggettivamente maggiori minacce economiche, né hanno espresso maggiori preoccupazioni per la disoccupazione o per l’aumento del costo della vita che quelli un po’ più lontani.
Nonostante ciò, il sostegno ai partiti anti-immigrati è aumentato. Nei comuni a meno di 15 minuti d’auto dal confine, i partiti di estrema destra hanno visto aumentare la loro quota di voti alle elezioni per il Consiglio nazionale di sei punti percentuali in più rispetto a quelli situati a 15-30 minuti di distanza.
I ricercatori hanno invece rilevato che i partiti populisti di destra hanno introdotto un nuovo termine per inquadrare l’immigrazione come un problema: “stress da densità”. Le campagne hanno collegato l’immigrazione a trasporti pubblici affollati, strade congestionate, espansione urbana e persino a code più lunghe nei centri commerciali. Eppure lo studio ha trovato poche prove che il presunto problema del sovraffollamento sia effettivamente peggiorato dopo l’entrata in vigore della libera circolazione delle persone.
L’esempio del Ticino
Al contempo, utilizzando l’esempio del Ticino, gli autori dello studio hanno dimostrato che dopo l’apertura delle frontiere i partiti critici nei confronti dell’immigrazione sono stati significativamente più attivi nei comuni al confine rispetto a quelli distanti 15-30 minuti dalla frontiera.
Ad esempio, i parlamentari dell’UDC e della Lega dei Ticinesi dei comuni di confine hanno presentato al Gran consiglio un numero nettamente maggiore di interventi parlamentari contro l’immigrazione rispetto ai loro colleghi di partito dei comuni un po’ più lontani. Tali mozioni facevano spesso esplicito riferimento alla narrazione dello stress da densità.
Sulla base di sondaggi, gli autori dello studio sottolineano anche che le persone con un interesse moderato per la politica nelle regioni di confine sono state le più aperte alle argomentazioni dei partiti anti-migrazione. Ciò è in linea con le teorie attuali, secondo cui le persone per nulla o molto interessate alla politica sono molto più difficili da convincere.
“I partiti critici nei confronti della migrazione nella regione a ridosso del confine non solo hanno risposto ai problemi della popolazione, ma hanno anche suscitato e rafforzato queste paure attraverso la loro retorica. Caratterizzano il discorso pubblico e sembrano trarre vantaggio dalla questione dell’immigrazione anche quando questa non ha effetti negativi misurabili per la maggior parte delle persone”, spiega Beerli in un comunicato diramato oggi dal Politecnico.
“Il caso della Svizzera ha una valenza generale sulle politiche di immigrazione: sebbene molti pensino che il populismo di destra abbia origine dalle difficoltà economiche o dagli attriti culturali, questo studio suggerisce che le narrazioni politiche possono essere altrettanto influenti”, viene affermato nella nota della Bocconi.

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