“Cari pendolari, cari… frontalieri”
I lavoratori frontalieri sono ancora una volta al centro del dibattito elettorale a Ginevra dove i cittadini andranno presto alle urne per rinnovare le autorità cantonali. Il giornalista Jean-François Mabut scrive loro una lettera aperta.
In tutte le città del mondo, voi arrivate al mattino e ripartite la sera nel rumore, la polvere, i gas di scarico, lo stress, i trasporti pubblici affollati, sacrificando minuti preziosi, spesso delle ore, che sottraete alla vostra vita famigliare. La città che vi impiega trae una grande fetta della sua prosperità dalla vostra fatica.
Siete pendolari, pendulaires, navetteurs, commuters, Pendler, banor i periferisë, viajantes habituales… A Ginevra, siete in maggioranza dei frontalieri.
Abitate dall’altra parte di una frontiera fabbricata duecento anni fa e solo per questo motivo oggi siete stigmatizzati e vilipesi con manifesti e parole (date un’occhiata all’attuale scambio di opinioni, tramite blog, iniziato dal sindaco di Saint-Julien e alimentato del consigliere di Stato del Mcg).
Nel canton Ginevra lavorano circa 100’000 frontalieri residenti in Francia. In febbraio, in piena campagna elettorale per le elezioni cantonali del 15 aprile, il Movimento dei cittadini di Ginevra (Mcg, la seconda forza politica al parlamento cantonale) ha lanciato l’iniziativa “Frontaliers: stop”. Il testo ha l’obiettivo di frenare l’attività dei lavoratori provenienti da oltre confine obbligando i datori di lavoro che vogliono assumere un frontaliere a fornire la dimostrazione dell’assenza sul mercato del lavoro di un candidato residente.
Le vostre targhe europee vi smascherano. Siete accusati di favorire il dumping salariale. Siete spesso più pronti a vendervi, parlate di abbondanza mentre gli svizzeri sono, si dice, più discreti. Siete più allenati alla lotta sindacale, mentre qui gli usi e i costumi parteggiano piuttosto per il partenariato sociale e la pace del lavoro.
Se vi capita di essere più numerosi degli svizzeri in un atelier o in un ufficio, potete diventare a vostra insaputa un fattore di malessere, dato che le vostre discussioni riguardano per forza il vostro vissuto francese e questo può frustrare i vostri colleghi elvetici, che non ritrovano al lavoro il dibattito cittadino che li riguarda e fa loro credere, talvolta, di essere stranieri nel loro stesso paese.
Non è evidentemente colpa vostra se, a Ginevra, quasi un lavoratore su tre non abita nel cantone. Da nessun’altra parte, né a Zurigo, né a Milano, né a Lione o a Parigi, verrebbe l’idea di creare un partito politico che prospera grazie alla lotta contro i pendolari, contribuenti come gli altri al benessere comune.
“Da nessun’altra parte verrebbe l’idea di creare un partito politico che prospera grazie alla lotta contro i pendolari, contribuenti come gli altri al benessere comune.”
A Ginevra, tre di questi partiti, di cui uno è il secondo movimento politico in termini di deputati al parlamento cantonale, sono ormai in lizza per le elezioni quinquennali del 15 aprile.
In questa penisola svizzera in terra francese, al vecchio sfondo xenofobo che dappertutto e in ogni epoca ha fratturato il vivere-insieme, si sovrappone la paura del frontaliere.
Altrove in Europa, sono i lavoratori distaccati, quelli che vivono negli hotel garni, nelle pensioni o nelle baracche per qualche giorno, qualche settimana o qualche mese, il tempo di un cantiere, di un progetto – insomma gli idraulici polacchi, i finanzieri d’alto bordo – e anche i migranti non europei – accolti troppo generosamente, si dice – ad essere il problema. Sono il motivo del voto contro la libera circolazione delle persone, il 9 febbraio 2014, e della Brexit, il 23 giugno 2016. Non i frontalieri.
Rischiamo di vivere tre mesi in un clima deleterio ben lontano dallo spirito di Ginevra, un clima nel quale i populisti faranno discorsi al vetriolo contro i nostri cari vicini che sono qui solo perché Ginevra è un cantone prospero, che non ha voluto/saputo dare alloggio alla parte più importante dei suoi lavoratori mentre la Francia fatica sempre a convincere le aziende a creare posti di lavoro sul suo territorio.
Saremo tutti vittime di un dibattito eccessivo, perché non avremo il coraggio di dire e ripetere che tutti i lavoratori sono uguali. L’epoca dell’Internazionale e dell’amicizia tra i popoli sembra decisamente molto lontana.
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta il 21 febbraio 2018 sulla Tribune de Genève.
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