Banche, “Non si può più vivere solo di Italia”
Sui rapporti italo-svizzeri, dopo l'intesa sottoscritta lo scorso dicembre sulla fiscalità dei lavoratori transfrontalieri, che ha sgomberato il campo da annose incomprensioni, continuano a pesare le restrizioni che gravano sugli operatori finanziari svizzeri oltre confine.
Il tema è stato dibattuto nella tavola rotonda virtualeCollegamento esterno organizzata dal Centro competenze tributarie della Supsi (Scuola universitaria della Svizzera italiana) “Scenari per la piazza finanziaria svizzera e ticinese: rapporti con l’Italia, nuove leggi finanziarie e fiscalità”, che ha cercato di evidenziare le strategie politiche, fiscali e finanziarie adottate ai due lati della frontiera alla luce delle recenti evoluzioni, anche di tipo sanitario.
In particolare, ci si è posti l’interrogativo se sia ancora giustificata l’attenzione rivolta verso sud da parte degli istituti finanziari elvetici e del mondo politico che li rappresenta.
Un po’ di storia recente per capire meglio
Per comprendere meglio lo stato dei rapporti tra Roma e Berna occorre andare al 23 febbraio 2015, quando gli allora ministri delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf e Pier Carlo Padoan firmarono il protocollo di modifica della Convenzione generale per evitare le doppie imposizioni (che ha previsto lo scambio di informazioni bancarie) e una roadmap con cui i due governi si sono impegnati a regolare una serie di questioni bilaterali: scambio automatico dal 2017, collaborazione al programma italiano di rientro dei capitali dall’estero, nuova fiscalità dei frontalieri, riduzione delle ritenute su interessi, dividendi e royalties e accesso al mercato italiano da parte degli istituti finanziari elvetici.
“Il governo svizzero non ha capito lo tsunami che stava arrivando e quando è intervenuto, lo ha fatto in ritardo, in modo raffazzonato e male”.
Luca Soncini, cda di BancaStato
Dopo 5 anni di pressioni continue da parte di Berna – che a ogni vertice ribadiva la questione – Roma è tornata a trattare e lo scorso dicembre è stata firmata l’intesa sul nuovo regime tributario per i lavoratori frontalieri residenti nella fascia di 20 chilometri dal confine.
Quindi, per riassumere in soldoni, dal vertice del 2015 l’Italia ha ottenuto lo scambio automatico di informazioni bancarie e la regolarizzazione di una fetta importante di capitali detenuti all’estero dai suoi contribuenti inadempienti, mentre la Svizzera si deve accontentare del recente accordo sull’imposizione dei frontalieri, che in prospettiva dovrebbe ridurre le pressioni sul mercato del lavoro svizzero e qualche teorica risorsa fiscale in più. Ma resta tuttora sulla black-list delle persone fisiche che trasferiscono la residenza all’estero e soprattutto le viene tuttora negato di fatto l’accesso al mercato finanziario italiano. Trattative su quest’ultima vertenza potrebbero partire a breve, ma annunci analoghi sono stati sistematicamente disattesi nel recente passato.
Applicazione restrittiva di norme UE
Nell’agosto 2017 Roma ha applicato la direttiva europeaCollegamento esterno del 2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari (Mifid2) in modo assai restrittivo nei confronti della Svizzera, imponendo agli istituti finanziari elvetici – alla stregua di quelli dei paesi extra-UE – l’obbligo di avere una succursale in Italia (soggetta alle sue norme fiscali) per poter svolgere la loro attività (Decreto legislativo 3 agosto 2017, n. 129Collegamento esterno).
Un vincolo che colpisce soprattutto gli istituti piccoli e medi della Svizzera italiana che, a differenza dei colossi Ubs e Credt Suisse rivolti ai grandi mercati internazionali, non hanno le risorse per impiantare una loro sede nella Penisola e a cui viene impedito di intrattenere relazioni con una clientela costruita pazientemente nei decenni, soprattutto nel Nord della penisola.
Altri sviluppi
Banche svizzere, “l’Italia ci discrimina”
“Ogni restrizione alla nostra attività ci penalizza, il contatto personale regolare ci permette di approfondire le esigenze e soddisfare le aspettative del cliente”, ha commentato in proposito Fabio Poma, gestore patrimoniale presso WMM Group a Lugano.
Su questo aspetto, ha aggiunto Luca Soncini (rappresentante del cda della Banca dello Stato del Canton Ticino), “l’Italia ha avuto un approccio molto restrittivo e medievale nel difendere le sue banche e non vuole gli operatori svizzeri tra i piedi”. Ma, avverte l’amministratore finanziario, il sistema bancario italiano si è radicalmente trasformato negli ultimi 20 anni, si è europeizzato, è migliorato nei processi produttivi ed è quindi illusorio pensare che il semplice fatto di “potersi muovere liberamente sul territorio del Belpaese, secondo il vecchio modello del private banking, ci risolva tutti i problemi”.
Berna troppo remissiva
Ma se siamo giunti a questa situazione difficile, ciò sarebbe da addebitare in buona parte alla “politica remissiva” condotta da Berna negli ultimi decenni nei confronti di Stati esteri e di organizzazioni come l’Ocse, secondo quanto ha indicato Fabio Poma. “Abbiamo subito attacchi alla nostra sovranità, pedinamenti da parte di funzionari del fisco stranieri sul nostro territorio, aggressioni verbali dall’allora ministro italiano Tremonti – ma anche da membri dei governi USA e tedesco – senza batter ciglio”.
Un “bilancio deficitario” per il governo e la diplomazia elvetica che “non hanno saputo difendere i nostri interessi”, acuito dal fatto che “abbiamo negoziato rapidamente sul segreto bancario senza la ben che minima contropartita” per la piazza finanziaria.
Una spiegazione sull’operato delle autorità svizzere la fornisce Luca Soncini, che ha affermato di non sentirsi tutelato sufficientemente come banca ticinese, a differenza delle grandi industrie svizzere e dei gruppi di potere economici nazionali. I conflitti con gli Stati Uniti e le soluzioni negoziate da Berna “sono nati dalle pressioni dei grandi gruppi industriali (Nestlé, Novartis, Roche) sul Consiglio federale per le difficoltà incontrate sui mercati internazionali, a causa delle banche svizzere”.
Il risultato è stato che “hanno sacrificato la piazza finanziaria”, soprattutto riguardo ai piccoli e medi istituti che non hanno i mezzi per operare in modo concorrenziale all’estero. Il governo “non ha capito lo tsunami che stava arrivando” e quando è intervenuto, lo ha fatto “in ritardo, in modo raffazzonato e male”.
La carta dell’accordo sui frontalieri
E nei rapporti con la vicina Repubblica sembra di assistere alle medesime dinamiche. Negli ambienti economici ci si interroga quindi sul fatto che resterebbe eventualmente da giocare la carta dell’accordo sui frontalieri, non ancora ratificato dai rispettivi parlamenti, per cercare di ottenere garanzie da Roma sull’accesso al mercato italiano e sulla cancellazione della Svizzera dall’ultima lista nera.
Ma per Massimo Tognola, che ha fondato l’organismo di autodisciplina dei fiduciari ticinesi (OAD FCT), è “pura teoria” dal momento che concretamente l’intesa fiscale per questi lavoratori “vale come il due di picche”, cifre alla mano, rispetto all’agognato via libera agli istituti finanziari.
“In Italia nei prossimi anni potrà esserci una forte erosione dei patrimoni delle piccole e medie aziende, che rischiano di non farcela”.
Massimo Tognola, gestore patrimoniale
Mentre per Fabio Poma il Ticino sicuramente esce comunque perdente, almeno a corto termine (cosa succederà poi nel 2033, quando l’intesa sarà a regime, “è un punto interrogativo”). Ma l’accordo sui frontalieri può pur sempre essere una “piccola carta” da giocare e vale la pena entrare in discussione con Roma, anche perché oggi gli operatori finanziari italiani, a differenza dei nostri, “possono venire in Svizzera a sollecitare il nostro risparmio e questa è una cosa che i nostri politici dovrebbero regolare”.
Mercato prioritario?
Ci si può semmai porre il quesito se oggi valga la pena continuare, almeno nella Svizzera meridionale, a considerare prioritario il mercato italiano. “Il mondo è sempre più globale e soprattutto, questa è la novità, i confini sono superati da nuovi modelli di distribuzione che si stanno imponendo, in base ai quali il dialogo con il cliente è sempre più digitale e la pandemia non ha fatto altro che accelerare questi processi”, ha sottolineato Luca Soncini.
La questione non è più – o non è solo – come andare oltre una frontiera ma come fare in modo che le nostre banche appaiano attrattive per quei clienti che possiamo raggiungere ovunque si trovino, ha precisato in proposito l’esperto ticinese secondo il quale le banche devono evitare di ripetere gli errori del passato e allargare i loro orizzonti. In quest’ottica, nel definire le loro strategie di medio-lungo termine, va superato “il problema confine perché il mondo attorno a noi sta cambiando e mutano le regole del gioco”.
Si tratta di un approccio condiviso, pur da un’altra prospettiva e con argomentazioni differenti, da Massimo Tognola per il quale occorre affrancarsi dalla dipendenza dal vicino mercato poiché “potenzialmente in Italia nei prossimi anni potrà esserci una forte erosione dei patrimoni dell’economia privata e delle piccole e medie aziende, che rischiano di non farcela” in seguito all’attuale crisi. Quindi “non si può più vivere solo di Italia”, secondo le parole dell’operatore finanziario ticinese.
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