Confine, in Italia ora si temono i contagi di ritorno
Tensione al confine italo-svizzero per la ripresa di alcune attività in Ticino. Sindaci e organizzazioni sindacali temono rischi per la salute dei frontalieri e lamentano le code chilometriche ai pochi valichi di frontiera rimasti aperti per decisione di Berna.
Con l’approssimarsi del 27 di aprile – giorno in cui inizierà formalmente la Fase 2 decretata dal governo federale (con l’eccezione del Ticino che ha ottenuto una proroga di una settimana) – al di là del confine si guarda con una certa apprensione ai primi allentamenti delle misure anti-coronavirus.
Aperture graduali in Ticino e resto della Confederazione
Lunedì sono infatti riprese parzialmente anche nel cantone italofono a sud delle Alpi attività edili, artigianali e industriali (cantieri fino a 10 persone e attività non procrastinabili). Diecimila frontalieri sono quindi tornati a lavorare, aggiungendosi ai circa diecimila che hanno continuato a operare anche nel pieno dell’emergenza pandemica nella Confederazione, alcuni dei quali pernottando su suolo elvetico su invito espresso delle organizzazioni imprenditoriali.
Ma è lo scenario delle prossime settimane, che coinvolge l’intero paese, a suscitare ancora maggiori preoccupazioni nelle province di frontiera dove si temono nuovi rischi dall’imminente revoca del lockdown. Come annunciato cinque giorni fa a Berna parrucchieri, fisioterapisti, saloni di bellezza, negozi fai-da-te, fioristi e giardinieri saranno autorizzati a riprendere la loro attività dal 27 aprile, alla sola condizione che sia garantita l’incolumità di personale e clienti.
Ospedali e studi medici potranno trattare anche casi non urgenti mentre continueranno a non essere accessibili i reparti non alimentari nei supermercati. Nelle due successive tappe (11 maggio e 8 giugno) saranno riaperte in modo graduale le scuole (prima quelle dell’obbligo), tutte le altre attività commerciali, musei e biblioteche.
Contagi di ritorno?
Il timore rilanciato da autorità locali e sindacati italiani è quello di un contagio di ritorno veicolato dai frontalieri che da questa settimana sono tornati a formare lunghe ed estenuanti code ai principali valichi doganali con la Svizzera.
La questione si era posta anche a metà marzo, quando in Italia era già stato decretato il lockdown ma la crisi era rientrata con le decisioni restrittive adottate unilateralmente (e “tollerate” da Berna) dal Ticino. Tra due settimane però Bellinzona dovrà uniformarsi agli altri cantoni e vigeranno quindi due regimi antitetici ai due lati della frontiera.
Timori alla frontiera
Per questo motivo sindacati e amministratori locali stanno intensificando le proteste poiché, a loro dire, si allargherà il divario tra i due paesi in merito agli standard di sicurezza della salute e l’allentamento delle misure di protezione rischia di provocare una nuova ondata di infezioni che potrebbe essere veicolata in Italia proprio dai lavoratori frontalieri. Con potenziali conseguenze non solo di tipo sanitario ma anche giuridico per questa categoria di “untori”, come avanzano alcuni legali.
-Pernottamento forzato in Svizzera dei frontalieri, “è inaccettabile”
Singoli casi di pendolari contagiati verosimilmente sul posto di lavoro sono già venuti alla luce, come hanno riportato i media italiani, nelle scorse settimane. L’accusa non troppo velata è che in alcuni specifici ambiti lavorativi l’incolumità dei lavoratori in Svizzera non sia sufficientemente tutelata e la riapertura progressiva delle attività finirebbe per aggravare la situazione.
E qualcuno arriva a minacciare di chiudere “dal di dentro” i valichi doganali italiani, come emerge dal servizio video di Falò, l’approfondimento informativo della RSI.
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