Donna siriana abortì durante rinvio, risarcito anche il marito
Il Tribunale federale (TF) ha accolto parzialmente il ricorso di una famiglia siriana rinviata da Briga (Vallese) in Italia il 4 luglio del 2014.
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Keystone-ATS
La vicenda aveva fatto scorrere molto inchiostro. Nel luglio 2014, i doganieri svizzeri a Briga rifiutarono l’assistenza medica alla donna, che era incinta di 27 settimane e soffriva di dolori, malgrado le ripetute richieste del marito. Al loro arrivo a Domodossola, in Italia, ebbe un aborto spontaneo in ospedale.
La famiglia ha poi vissuto in Italia per circa due anni, finché la moglie ha potuto recarsi in Germania con i figli nel 2016 e rimanervi. Il marito ha potuto raggiungerli nel 2021.
Nel 2021, il Dipartimento federale delle finanze (DFF) aveva respinto la richiesta di risarcimento della famiglia per danni morali e materiali. Il Tribunale amministrativo federale (TAF) aveva poi accolto un ricorso della famiglia e concesso alla donna una riparazione di 12’000 franchi per torto morale.
L’inerzia dei doganieri
In una sentenza pubblicata oggi, il TF riconosce al marito 1000 franchi di indennizzo. Per la corte losannese, anche lui deve essere considerato direttamente interessato dagli eventi di Briga. Per diverse ore ha dovuto assistere la moglie, senza che le fossero prodigate cure. I suoi sforzi per ottenere il sostegno delle guardie di confine sono stati vani.
Come si legge nella sentenza, l’uomo ha dovuto trasportare la donna, assieme ad altri, fino al treno e nella carrozza. Ha trascorso diverse ore temendo per la vita e la salute della consorte e del nascituro. L’inerzia dei doganieri lo ha inoltre posto in una situazione di particolare impotenza e angoscia, poiché la famiglia era sotto la protezione dello Stato.
L’integrità mentale del marito è stata quindi violata in modo illecito, anche se non è stata accertata alcuna alterazione psichica duratura.
Il TF ha invece negato il diritto della famiglia al risarcimento per torto morale in relazione alla procedura di asilo in Italia. In particolare, la donna aveva sostenuto di essere stata privata dell’assistenza.
La guardia di confine che ha condotto l’intervento è stata condannata nel 2018 per lesioni personali. È stata assolta dalle altre accuse, in particolare tentato omicidio e tentate lesioni personali gravi, poiché non è stato possibile determinare se il nascituro fosse ancora vivo quando la madre era giunta a Briga.
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