L’economia di frontiera contagiata dal coronavirus
Da quasi tre mesi la frontiera tra Italia e Svizzera è chiusa. Soprattutto per i turisti della spesa. Questa situazione ha fatto crollare la cifra d’affari dei commerci italiani situati a ridosso della frontiera, mentre la vendita al dettaglio in Svizzera regge la pandemia. L'esempio delle macellerie.
C’è nervosismo tra i commercianti in Italia attivi a ridosso della frontiera svizzera. Che sia in provincia di Varese o Como, la chiusura dei valichi doganali ha inciso parecchio sulla loro cifra d’affari. Per non dire che l’ha quasi azzerata.
Parlano poco volentieri, un po’ scontrosi (e si capisce), la maggior parte proprio non vuole parlare. Il solo che ci risponde, quasi mosso da inerzia, è un macellaio di Ponte Chiasso. “È un disastro totale – esordisce laconicamente – i miei clienti sono al 99% ticinesi. Faccia un po’ il calcolo lei… Chiusa la frontiera ho comunque tenuto aperto il negozio ma non c’è nessuno in giro. Una desolazione. Non si vende proprio nulla”.
“È un disastro totale, i miei clienti sono al 99% ticinesi. Faccia un po’ lei il calcolo…”.
Macellaio di Ponte Chiasso
Parliamo del più e del meno. Il macellaio si rilassa. Diventa meno diffidente. “Le difficoltà non sono solo le mie, continua, ma di tutti i commercianti di Ponte Chiasso. Questa è un’isola particolare, fortemente dipendente dal Ticino. Speriamo che le frontiere aprano al più presto, ma le notizie non sono confortanti…”.
Infatti, sebbene il governo italiano abbia comunicato che aprirà i confini nazionali il 3 giugno, come pure gli spostamenti tra le regioni, le riaperture avverranno però con “velocità diverse concordate con i governatori”, sulla base dell’andamento della curva epidemiologica e dell’indice di contagio. Questo significa che la Lombardia potrebbe ritardare l’apertura. Inoltre la Svizzera potrebbe mantenere restrizioni per valicare la dogana fino a inizio luglio, ostacolando anche il turismo della spesa.
“Se così fosse, per tutti noi sarà la continuazione di un’agonia senza fine. Questa pandemia ci ha portati a un vero e proprio tracollo finanziario”.
Qui Svizzera…
Il coronavirus non ha risparmiato nessuno. Neppure in Svizzera. Come ci racconta Erich Jörg, direttore del Centro Macellai di BironicoCollegamento esterno, la centrale d’acquisto per le macellerie ticinesi: “Globalmente la cifra d’affari della vendita di carne in Ticino è calata rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La vendita al dettaglio, per contro, ha registrato forti aumenti”.
Aumenti spettacolari che spesso hanno superato di tre, quattro volte le vendite consuete. “Sono i macellai che normalmente soffrono la concorrenza della vicina Italia – sottolinea Jörg – ad aver incrementato il fatturato in modo importante. Diciamolo, vendite mai viste. Nelle valli o comunque in centri lontani dal confine italiano, lo smercio di carne al dettaglio non ha subito grandi scossoni: vi sono comunque stati leggeri aumenti”.
“Sono i macellai che normalmente soffrono la concorrenza della vicina Italia ad aver incrementato le vendite in modo importante”.
Erich Jörg, direttore Centro Macellai
Se prima della pandemia questi ‘nuovi’ clienti acquistavano la carne in Italia, ora sono ‘costretti’ a comperarla in Ticino: “I macellai dei piccoli centri hanno servito persone in negozio che non hanno mai visto o non vedevano più da tempo. Quello che speriamo ora – è l’auspicio di Erich Jörg – è che la gente sia soddisfatta e che si serva dai nostri macellai anche dopo la riapertura delle frontiere”.
Terre di confine
Tra le macellerie che maggiormente hanno “approfittato” della situazione ci sono quelle del Malcantone, la regione cuscinetto tra Lugano e l’Italia e che confina a ovest con il comune varesino di Lavena Ponte Tresa. E proprio in questa località abbiamo contattato una macelleria. Alla prima domanda, banale, se hanno notato un calo del fatturato, il macellaio con malcelata ironia ci risponde: “Che domanda mi fa? Noi viviamo grazie ai clienti ticinesi. La frontiera è chiusa da quasi tre mesi. Cosa vuole che le dica? Certo, c’è stata una diminuzione delle vendite paurosa. Ma è ovvio, la frontiera è chiusa”. Detto questo il macellaio non ha voluto sentire altre domande e con fare spedito e infastidito ci ha attaccato il telefono in faccia, non senza prima dire “c’è gente, devo lasciarla”.
Più disponibile alla chiacchierata naturalmente Erich Jörg: “All’inizio della pandemia, la gente spendeva di più e comprava tagli pregiati. Poi lentamente il consumo è tornato alla normalità. Una cosa però ci fa molto piacere: c’è stata una grande richiesta di carne svizzera”.
Vendite in calo anche in Svizzera
Ma per il settore non sono solo rose. Anche diverse spine. “Prima ho detto che globalmente la vendita di carne è diminuita. Il settore legato alla gastronomia, e qui penso ai ristoranti, alle mense, ma anche alle mancate grigliate, senza dimenticare il consumo di carne legato alla presenza di turisti, ha subito un vero tracollo. D’altra parte, i ristoranti erano chiusi come pure le frontiere. Non poteva essere diversamente L’impennata della vendita al dettaglio non ha bilanciato le perdite del settore gastronomico”.
I prezzi, aggiunge Erich Jörg, sono rimasti stabili: “Abbiamo cercato di tenere i prezzi il più basso possibile, senza approfittare della crescente domanda”.
Economia di frontiera
Non è un segreto che la carne in Svizzera costi decisamente di più che in Italia. “Ci sono dei validi motivi – ricorda Erich Jörg -. Già l’allevamento del bestiame costa da 3 a 4 volte di più. Poi ci sono i salari, gli affitti… I ‘tagli’ inoltre sono diversi. Attenzione, non sto dicendo che in Italia non si trovi carne di qualità. Anzi! Semplicemente i consumatori svizzeri hanno altre abitudini. Poi chi oserebbe mettere in dubbio la salumeria italiana?”.
Questa differenza di prezzi spinge molti consumatori ticinesi ad acquistare i prodotti in Italia. Abbiamo così contattato altre macellerie in Italia, quelle situate un po’ più lontano dalla frontiera, comunque facilmente raggiungibili in meno di mezz’ora d’auto dal Ticino. Questo per capire se il calo sia generalizzato anche nell’entroterra. Nessuno ha voluto parlarci. Con tono spesso seccato ci hanno appeso il telefono in faccia. Non una volta. Due, tre, quattro volte. Sempre la stessa reazione: “Non abbiamo niente da dire”.
Sintomo del nervosismo di questi commercianti ai quali la pandemia ha tolto quasi tutto. Quella varesina e comasca è anche un’economia di frontiera che vive grazie alla vicina Svizzera e alla grande differenza dei prezzi tra i due paesi e approfitta del potere d’acquisto superiore degli svizzeri che trovano i prodotti italiani buoni, di qualità e soprattutto decisamente meno cari. La pandemia però ha azzerato tutto.
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