Zermatt-Cervinia: “Stop allo sci sui ghiacciai, sono un bene pubblico da difendere”
Intervista a Paolo Cognetti, lo scrittore che vive ai piedi del monte Rosa, in val d’Aosta. “Sbaglia chi dice che l’impatto ambientale della pista transfrontaliera è limitato”.
“Le ruspe sui ghiacciai esistono da quando esiste lo sci estivo, perché i crepacci vanno riempiti. Ma a chi dice che, siccome lo si fa da sempre, allora è lecito continuare a farlo, rispondo che quel tipo di sci è diventato inaccettabile. Ci sono tante cose che prima si facevano e adesso non più, per via degli effetti sull’ambiente e il clima. Questa deve diventare una di quelle”.
Per lo scrittore Paolo Cognetti, 45 anni trascorsi in buona parte ai piedi del monte Rosa, la vicenda della Gran Becca, la pista di sci tra Zermatt e Cervinia che da settimane è al centro di polemiche e sulla quale stanno gareggiando gli atleti di Coppa del mondo, dev’essere l’occasione per dire basta allo sfruttamento dell’alta montagna. “Ma quando parlo di queste cose a sindaci e assessori, mi trovo di fronte a un muro di gomma”.
tvsvizzera.it: Nel senso che non cambia mai nulla?
Paolo Cognetti: In montagna la politica locale è espressione diretta dell’imprenditoria, sono lo stesso mondo. Il loro ragionamento consiste nell’usare questi luoghi finché è possibile. Se facciamo loro notare che tra vent’anni non potranno più farlo, ci rispondono che li useranno per quei vent’anni. Dicono che la loro è una visione per far fruttare i luoghi: si potrebbe anche dire sfruttare, accelerarne la rovina.
In un intervento sulle pagine di RepubblicaCollegamento esterno a proposito della Gran Becca ha definito il ghiacciaio “un bene pubblico, una falda acquifera, l’acqua che beviamo”. Che cosa intende?
Quando discuto con qualcuno dei progetti da fare o da non fare, una delle cose che mi viene contestata più spesso è che “questo territorio appartiene al nostro Comune e qui realizziamo ciò che decidiamo di fare”. Secondo me, però, in montagna ci sono cose che, proprio come una fonte o come un fiume, non possono essere considerate di proprietà di un Comune. Non è che, siccome un fiume attraversa il tuo territorio, allora ne puoi bloccare il corso. Secondo me un ghiacciaio non può essere considerato un bene locale, quindi non puoi farne quello che vuoi.
Paolo Cognetti
Nato a Milano nel 1978, ha vinto il Premio Strega 2017 con il romanzo Le otto montagne. Dal libro, tradotto in oltre quaranta Paesi, è stato tratto l’omonimo film, diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch e uscito nel 2022, che si è aggiudicato il Premio della giuria del 75esimo Festival di Cannes e quattro David di Donatello, tra cui quello per il Miglior film. Nel 2023, con Einaudi, ha pubblicato Giù nella valle.
Per disegnare il tracciato della Gran Becca e metterlo in sicurezza, sul ghiacciaio sono salite le scavatrici. In questo caso parliamo di una pista disegnata per una gara invernale, ma lo stesso accade per le piste estive.
Lo sci estivo, quello su ghiacciaio, è una pratica anacronistica. Il ghiacciaio è così fragile e in continuo mutamento che oggi non ha più senso sciarci sopra: se ne accelera l’estinzione. E poi c’è il tema dell’investimento economico: l’anno scorso, per fare un esempio, il ghiacciaio del monte Rosa (l’IndrenCollegamento esterno, ndr) è arretrato di 40 metri. In dieci anni, questi ghiacciai indietreggiano di centinaia di metri: come si può pensare di costruire un impianto nei pressi della fine del ghiacciaio, come nel caso del Plateau Rosa, dove, probabilmente, tra trent’anni ci sarà una pietraia?
Le immagini dei lavori sul ghiacciaio hanno fatto il giro del mondo, ma in molti hanno rassicurato sul ridotto impatto ambientale. Che cosa ne pensa?
Non sono d’accordo. In val d’Aosta, da anni si discute di costruire una funivia nel vallone delle Cime Bianche, in un ambiente incontaminato, che servirebbe a rendere accessibile il ghiacciaio di cui stiamo parlando dalla parte della valle d’Ayas. Insomma, non è vero che l’effetto sia limitato: le infrastrutture restano, non è che spariscono una volta finita la gara di Coppa del mondo.
Alcuni temono che le polemiche possano causare un danno d’immagine per l’economia sciistica alpina.
Vero, non è stata una bella pubblicità. Ma c’è una cosa che non capisco: tra gli sciatori, in molti si definiscono amanti della montagna. Fatico a comprendere come chi scia sulla pista, che ormai sappiamo essere un’infrastruttura totalmente artificiale a livello di innevamento, di spianamento, di costruzione di impianti e di disboscamento, si possa definire amante della montagna. Chissà se ci sono persone che hanno smesso di sciare, o a cui è passata la voglia, perché hanno capito queste cose. Lo spererei.
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Lei scia?
Da bambino ho fatto dei corsi in settimana bianca. Da quando sono cresciuto, utilizzo ciò che ho imparato per sciare con le pelli o per fare escursioni nel bosco. Abito a duemila metri, quando nevica ho la fortuna di poter praticamente uscire di casa con gli sci ai piedi. Insomma: scio, sì, ma non su pista.
Nell’articolo su Repubblica, provocatoriamente si è definito “un estremista, un bombarolo, un nemico del popolo, un ambientalista”. In un’epoca che fa dell’ecosostenibilità – almeno a parole – un mantra, secondo lei a che punto siamo, a livello di coscienza e azione individuale?
Vedo, anche nelle persone giovani e sensibilizzate, una scarsa attenzione alle scelte individuali, dall’usare o meno l’auto allo scegliere che cosa mangiare o acquistare. Vedo indifferenza e non me la spiego. Certo, facendo scelte più attente la vita è un po’ più scomoda. Ma farlo è necessario.
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