L’eterno dilemma di Taranto
Tra diritto alla salute e diritto al lavoro, la popolazione della città pugliese è divisa in merito al futuro dell'ex Ilva. Reportage da Taranto.
Mentre il braccio di ferro tra il Governo italiano e Arcelormittal si sposta nelle procure di Taranto e Milano – nella prima si dovranno accertare presunte responsabilità penali del colosso industriale in merito al sospetto depauperamento di ampi settori dell’acciaieria mediante illecita distrazione di risorse, nella seconda è partita una causa civile sulle beghe contrattuali legate all’intenzione del gruppo di abbandonare lo stabilimento – la popolazione tarantina è atterrita, divisa tra diritto alla salute e diritto al lavoro.
Protestano le aziende dell’indotto ma, spaventate dalla precarietà del momento, senza interrompere la produzione.
Gli operai dell’acciaieria, intanto, non hanno neanche più il morale per protestare e vivono, oltre la spada di Damocle della cassa integrazione (licenziamento morbido, con tutele), la demonizzazione da parte della popolazione che vorrebbe chiudere l’industria per ripartire.
L’ultimo segnale delle tensioni tra lavoratori e popolazione risale a venerdì, in occasione dello sciopero indetto dall’Unione sindacale di base a cui hanno partecipato anche degli attivisti di Friday for Future. “Non entrate, ci stanno ammazzando”, hanno detto i manifestanti agli operai diretti allo stabile. Ma c’è anche chi ha urlato loro di vergognarsi, chiamandoli “burattini” o “pecore”.
La voce degli operai di AcelorMittal
Tamburi è il quartiere che poggia sul muro di cinta degli stabilimenti Arcelormittal, ex Ilva, dal lato del mar piccolo, i due vasti seni naturali dove si allevano le cozze.
L’area industriale che includendo anche gli stabilimenti dell’Eni è estesa al pari di tutta la città, spinge il sobborgo verso il mare e ora lo sovrasta anche di più di prima per le nuove coperture del parco minerali, imponenti tetti a volta che ricoprono le collinette del materiale che alimenta le cokerie e gli altiforni.
Per tutti questi anni a Tamburi si è vissuto a contatto con questo materiale altamente tossico, di color rosso, stoccato a ridosso delle palazzine che alla prima folata di vento da nord andava a finire nelle case e nei polmoni dei residenti.
Oggi che la copertura è quasi ultimata si ha però la prova – ma probabilmente gli esperti già sapevano – che le sostanze che arrivano dall’alto, da sopra le coperture, dalle ciminiere dell’area a caldo, sono ancora di più e più nefaste.
Allontanandosi da Tamburi e dall’industria con un primo ponte si raggiunge la città vecchia, una falsa isola tra il mar piccolo e il mar grande della baia di Taranto. Oltre, un secondo ponte collega alla città nuova che fugge via sviluppandosi a est lontano da Tamburi
C’è un fisiologico fuggire dall’industria che è confermato anche dai molti cartelli ‘vendesi’ affissi sulle case rossicce di Tamburi.
Una profonda spaccatura divide invece chi resta a vivere nel quartiere. Decidere di stare dal lato del diritto alla salute o dall’altro, quello del diritto al lavoro è l’eterno conflitto di Taranto.
Infatti, da un lato c’è chi tinge le case di rosso per camuffare il minerale, perché non si dica che l’ex Ilva uccide e dall’altro c’è chi per risposta affigge sulla facciata esterna della propria casa targhe di denuncia che maledicono i danni dell’industria.
Oppure c’è chi tenta di lasciare traccia dei propri cari scomparsi per patologia polmonare, un rudimentale registro tumori, e chi vorrebbe enumerare quei morti incisi sulle targhe, ma non può perché un registro ufficiale dei malati per tumore non è mai stato fatto dall’autorità sanitaria. È sconosciuto il numero di vittime che l’acciaieria ha mietuto dagli anni ‘60, quando era statale, ad oggi.
Percorrendo il muro dell’ex Ilva verso ovest uscendo dal quartiere Tamburi si arriva al cimitero dove i marmi sono corrosi dal minerale ferroso. Le lastre delle lapidi perdono lo strato lucido e si tingono di rosso in profondità. Successivamente il marmo si sgretola. Neanche i defunti a Taranto trovano pace sotto la coltre rossa che ricopre la città.
Il registro dei tumori del quartiere Tamburi
Taranto è per la chiusura dell’acciaieria, per la dismissione dell’industria e la riconversione dell’economia. Per salvaguardare l’ambiente e la salute dei cittadini. Per consegnare alle nuove generazioni la possibilità di immaginare un futuro diverso.
La popolazione ha mostrato ampiamente queste intenzioni votando e mandando nei posti di potere chi ha promesso di realizzare questi scenari agognati non solo da chi ha parenti o amici uccisi dagli effetti dell’inquinamento, ma da tutte quelle persone che vorrebbero riappropriarsi della città scippata loro da un modello industriale superato che non si è mai rinnovato e che rende molto complicato oggi, se non addirittura impossibile, recuperare.
I tarantini hanno eletto Michele Emiliano del Pd come governatore della regione Puglia e il Movimento 5 stelle alle politiche nazionali, contribuendo in modo consistente alla sua ascesa al governo del Paese.
Entrambi hanno acceso gli animi in campagna elettorale promettendo la chiusura di quella che al tempo era ancora l’Ilva. Oggi lo scenario è tutto cambiato, la politica non ha il coraggio di dar seguito alle promesse rinunciando ad un’industria che pesa quasi un punto e mezzo di PIL, incastonata nel profondo Sud. Emiliano parla di una riconversione degli impianti al biogas, un’idea che però non convince. Il Movimento 5 stelle, con una giravolta, non parla più di chiusura e si spacca sul tema dello scudo penale posto tra le condizioni di accordo da Arcelormittal.
Aldo Schiedi è un attivista dei Meetup del Movimento 5 stelle di vecchia data. Prima ancora che il movimento si presentasse alle elezioni ha militato in tutte le battaglie ambientaliste per svegliare le coscienze, prima ancora che venisse palesato il legame tra l’acciaieria e l’anomala incidenza di malattie gravi diffusa tra la popolazione.
Aldo è tra i delusi che ha visto sfumare il sogno di un intervento forte per contrastare il problema ambientale e sociale che affligge Taranto.
La delusione degli attivisti del Movimento 5 Stelle
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