Aemilia, anche un ticinese tra i primi condannati
Si tratta di Sergio Pezzatii condannato a 5 mesi di reclusione. Coinvolto in un'inchiesta sulla 'ndrangheta in Emilia Romagna
C’è anche un professionista ticinese tra i primi condannati nel maxi processo Aemilia che si sta celebrando a Bologna, e che nasce da una delle più grandi inchieste sul radicamento della mafia nel Nord Italia. Il suo nome è Sergio Pezzatti, fiduciario originario di Wetzikon, noto, tra le altre cose, per essere stato dirigente del Lugano Calcio. A Pezzatti il giudice per l’udienza preliminare di Bologna, Francesca Zavaglia – che venerdì 22 aprile si è espressa sugli oltre 80 imputati che hanno richiesto un riti abbreviati e patteggiamenti – ha inflitto una condanna a cinque mesi di reclusione.
Una pena decisamente ridimensionata rispetto ai sei anni richiesti dall’accusa, che per Pezzatti ravvisava i reati di reimpiego e frode fiscale, “con l’aggravante di aver agito al fine di agevolare l’attività mafiosa denominata ‘ndrangheta, e in particolare delle cosche Arena, Nicoscia e Grande Aracri”. Aggravante da cui invece Pezzatti è stato assolto nella sentenza di primo grado. Il fiduciario luganese, in altre parole, non aveva (o non sapeva di avere) legami diretti con la criminalità organizzata. Si sarebbe limitato all’attività contabile delle società cosiddette “cartiere” (definite così dagli inquirenti, perché utilizzate per produrre “carta”, cioè fatture fittizie), e nello specifico la MT Trade e la Multi Media Corporate, entrambe con sede a Lugano (ma inattive da quattro anni), utilizzate per disperdere la tracciabilità dei movimenti finanziari e frodare il fisco italiano.
Pezzatti amministrava la Multi Media Corporate per conto di altri soci – tutti coinvolti nel processo Aemilia – tra cui gli imprenditori Paolo Pelaggi (condannato a 1,6 anni di reclusione), il pentito Giuseppe Giglio (condannato a 12 anni e 6 mesi), il manager americano attivo in Svizzera, Michael Salwach e il faccendiere cutrese Pasquale Riillo.
Le prime condanne inflitte dal gup sono state complessivamente più tenui rispetto a quelle richieste dai magistrati della Dda Marco Mescolini e Beatrice Ronchi (305 anni contro gli 800 totali chiesti dall’accusa). La pena più alta, di 15 anni, è stata inflitta a Nicolino Sarcone, ritenuto dagli inquirenti il boss della mafia calabrese infiltrata in Emilia. Complessivamente sono state 58 le condanne, 12 le assoluzioni e un proscioglimento. Nicolino Grande Aracri, ritenuto il capocosca, ma che in questa giudizio non rispondeva di associazione mafiosa, è stato condannato a sei anni e otto mesi.
Elena Boromeo
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