La misteriosa morte di Imane Fadil
È stata ricoverata all'Humanitas di Rozzano per una gravissima disfunzione del midollo osseo che aveva smesso di produrre globuli bianchi, rossi e piastrine, Imane Fadil, una delle testi chiave del caso Ruby, morta l'1 marzo scorso dopo un mese di agonia. Morte su cui ora la Procura di Milano, che ha aperto un fascicolo per omicidio volontario e che ha disposto l'autopsia in programma nei prossimi giorni, dovrà fare luce.
Il caso della modella marocchina (34 anni), che l’ex premier Silvio Berlusconi dice di non aver “mai conosciuto” sebbene lei abbia sempre raccontato di essere stata otto volte ad Arcore e di aver assistito alle serate a base di ‘bunga-bunga’, dalle prime ricostruzioni pare essere una matassa difficile da sbrogliare.
Avvelenata?
Quel che è certo, però, è che i procuratori sono convinti che quel timore di essere stata “avvelenata”, rivelato da Fadil dieci giorni prima di morire ai medici, non fosse infondato. Tant’è che, come è stato ripetuto al quarto piano del palazzo di Giustizia, i sintomi manifestati fin dal 29 gennaio, giorno in cui è finita al pronto soccorso dell’ospedale, “sono compatibili con un avvelenamento”: gonfiore e forti dolori all’addome, vomito, fegato compromesso, disfunzioni degli altri organi, tanto che sono servite molte trasfusioni per tenerla in vita nella speranza di salvarla.
All’inizio si era pensato che fosse stata colpita da ‘lupus’, una malattia autoimmune, o da un tumore, ipotesi poi scartate. Quel che ha ucciso la testimone, che negli ultimi tempi aveva confidato agli amici la paura di essere “controllata”, è ancora tutto da capire. Al momento, gli accertamenti si concentrano sulla presenza di 4 metalli in percentuali più o meno al di sopra della norma individuati nei campioni di sangue prelevati alla 34enne e analizzati nel Centro Antiveleni Maugeri di Pavia. Centro diretto da Carlo Locatelli, il quale in una nota ha tenuto a precisare che non è stata effettuata alcuna “misura di radioattività”.
Nessun mix radioattivo
Gli esami dei dosaggi di 50 metalli sono stati chiesti il 26 febbraio dall’Humanitas, ma l’esito è arrivato sei giorni dopo il decesso della giovane: gli unici a sforare i parametri sono stati cobalto, cromo, nichel e molibdeno. Il primo, che avrebbe potuto presentare tracce di radioattività mai misurate (il centro non ha gli strumenti), sarebbe stato presente con un quantitativo di 0,7 microgrammi per litro. Valore molto basso se si pensa che il livello minimo di tossicità è di 41 microgrammi per litro. Dunque, nulla a che vedere con il “mix di sostanze radioattive” riferito venerdì da fonti qualificate che ancora sabato lo ipotizzano, però, facendo la somma dei sintomi e dei metalli rintracciati, come causa che può giustificare la morte.
In attesa degli esami autoptici e dei loro esiti, altri sono i punti oscuri di questa vicenda. Oltre alle versioni discordanti tra Procura e ospedale sui tempi di comunicazione, obbligatoria in questo caso, della morte di Imane Fadil, c’è da chiedersi il perché, a più di due settimane dal decesso e dal sequestro delle cartelle cliniche, il corpo senza vita della modella sia ancora all’obitorio senza che alcun medico abbia proceduto con l’autopsia, nonostante la pista più accreditata sia quella dell’avvelenamento.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Se volete segnalare errori fattuali, inviateci un’e-mail all’indirizzo tvsvizzera@swissinfo.ch.