Covid-bonds, una proposta per salvare l’economia italiana
Mentre a Bruxelles i paesi Ue si dividono sulle strategie per salvare imprese e bilanci statali, da San Gallo arriva una proposta inedita per scongiurare - o per lo meno circoscrivere - la recessione causata dall'emergenza pandemica.
Lo scenario su cui si sta consumando lo scontro è noto. Per rimettere in carreggiata l’economia del Vecchio Continente i governi rigoristi dell’Europa del Nord (Germania, Paesi Bassi, Finlandia e Austria su tutti) intendono agire con gli strumenti finanziari esistenti (Fondo salva-Stati, Banca europea per gli investimenti e fondo Sure), con eventualmente qualche timida concessione (accesso agevolato ai prestiti).
La liquidità indispensabile alla sopravvivenza del sistema produttivo e sociale dovrebbe essere garantita da prestiti per oltre 500 miliardi di euro: 240 miliardi di euro assicurati dal Fondo salva-stati (Mes), 200 miliardi dalla Banca europea per gli investimenti (Bei) e altri 100 miliardi dalla Commissione Ue attraverso il fondo contro la disoccupazione.
Bilanci statali fuori controllo
Ma pur facendo astrazione dai vincoli di bilancio e dai potenziali conflitti con le norme vigenti a livello europeo, resta il grosso problema del finanziamento di questi interventi “tradizionali”. Essi infatti si traducono in buona parte in ulteriore debito pubblico, eventualità questa che per alcuni Stati come l’Italia (e per i loro cittadini-contribuenti) è oggettivamente insostenibile dal profilo finanziario e sociale.
Per questo motivo il fronte dei paesi “mediterranei” spinge per l’emissione di titoli sul debito pubblico condiviso da parte della Bce. Ma per la Germania, che non esclude a priori questa opzione, l’urgenza della situazione non consente di adottare subito gli eurobonds che richiedono opportuni adattamenti, in particolare un regime fiscale coordinato e vincoli di spesa tra i membri della zona euro
La quadratura del cerchio potrebbe però venire dai coronabonds di cui si sta dibattendo in queste settimane, vale a dire obbligazioni congiunte con scopo e durata circoscritti finalizzati a far uscire gli Stati dall’emergenza.
Ma le resistenze dei rigoristi contro questi coronabonds non sono dissimili da quelle che si manifestano in relazione alle proposte di altri titoli sul debito condiviso.
Una proposta inedita
Per risolvere l’impasse l’economista Guido Cozzi, titolare della cattedra di Macroeconomia all’Università di San Gallo (FGN-HSG), ritiene che si debba ricercare soluzioni creative. Per immettere la liquidità indispensabile per evitare una catena di fallimenti, senza per questo appesantire i bilanci statali, l’economista italiano propone dei bondsCollegamento esterno del tutto inediti: si tratterebbe di obbligazioni emesse dai governi da direttamente distribuire alle imprese in funzione del loro fatturato.
Le banche sarebbero costrette ad accettare questi titoli garantiti dallo Stato convertendoli in depositi equivalenti al loro valore nominale. Un’operazione che secondo Guido Cozzi sarebbe assolutamente sostenibile per il sistema bancario e non comporterebbe rischi, soprattutto sul lungo periodo.
Tvsvizzera: In cosa si differenza questo “suo” bond dai coronabonds di cui si parla in questi giorni? E in particolare rispetto agli strumenti evocati dal ministro francese dell’economia Le Maire o dai commissari Ue Bretton e Gentiloni.
Guido Cozzi: I bonds da me proposti sarebbero completamente diversi. Chiamiamoli per distinguerli “Cozzi-bonds”. Mentre i coronabonds, a durata mista, verrebbero emessi sul mercato europeo dei titoli in base ad aste, i Cozzi-bonds sarebbero tutti di lunga durata (dai 20 ai 30 anni) e le banche operanti in Italia sarebbero obbligate ad accettarli all’emissione al loro valore nominale. L’ammontare che ogni banca sarebbe obbligata a comprarne sarà proporzionale all’ammontare attuale dei suoi depositi. Il loro tasso di rendimento, per esempio 1%, sarebbe deciso dal governo italiano, non dal mercato.
Si tratta quindi di un titolo di debito dello Stato italiano associato ad un provvedimento coercitivo temporaneo sulle banche operanti in Italia. In questo senso, i Cozzi-bonds sarebbero paragonabili, per il sistema bancario, alle misure di limitazione delle libertà a cui è stata sottoposta in via eccezionale l’intera popolazione italiana.
Il coinvolgimento del settore bancario – già sotto pressione in questo difficile momento – che è insito nella sua proposta di Covid-bond, non rischierebbe di creare a breve-medio termine problemi di sostenibilità finanziaria e liquidità agli istituti di credito?
Lo Stato userà parte dei 400 miliardi per garantire i prestiti delle imprese private, che aiuteranno le banche a non perdere crediti. Per facilitare le banche, gli permetterei di acquistare i Cozzi-Bonds attraverso l’apertura di depositi in conto corrente a favore dello Stato. Questa sarebbe una misura eccezionale e temporanea, tipica da economia di guerra, quale appunto è quella che stiamo vivendo contro il coronavirus.
Così facendo, le banche non dovrebbero smobilitare attività per pagare questi bond, ma solo creare nuovi depositi. Pur imponendo al sistema bancario di finanziare indirettamente questi prestiti creando nuovi depositi, i Cozzi-bonds permetterebbero alle banche la certezza di essere rimborsate in futuro dallo Stato italiano. In pratica, stiamo scambiando crediti a breve molto incerti con crediti a lungo termine sicuri.
Il fatto che sia un bond con uno scopo specifico e contingente non rischia a suo giudizio di avere una risposta negativa sui mercati finanziari?
La loro emissione e collocazione non passerebbe attraverso la consueta procedura d’asta e il mercato, quindi non ci sarebbero effetti diretti negativi. Nel valutare gli effetti indiretti, bisogna tener conto che l’emissione dei Cozzi-bonds sarebbe equivalente ad una enorme monetizzazione del debito sovrano, che certamente fornirà carburante a un mercato finanziario attualmente molto depresso.
Infatti, con essi sarebbero le banche private a fare de facto politica monetaria espansiva attraverso la moneta di loro creazione: i depositi. Permettendo al governo di non appesantire la tassazione nel breve-medio termine, l’economia si riprenderà più rapidamente e le banche stesse ne beneficerebbero.
Non sarebbe opportuno cogliere l’occasione per arrivare finalmente alla creazione di eurobonds che non abbiano scopi e durata circoscritta, come nel caso dei coronabonds di cui si sta parlando? Secondo molti infatti la mancanza di titoli sul debito condiviso dai 19 è il vero limite della costruzione monetaria europea.
Certamente, anche solo un timido inizio sarebbe un grande passo avanti qualitativo per l’Unione Europea. Però temo che sia molto difficile emetterne subito in quantità sufficiente. Proprio perché la crisi coinvolge quasi tutti i paesi, risulta più difficile convincere gli elettori dei paesi più forti, anch’essi impauriti, a prendere massicci impegni finanziari. È per questo che propongo una misura aggiuntiva, e non sostitutiva, agli Eurobond europei.
Ritiene che non siano sufficienti gli strumenti proposti ancora in queste ore dai paesi “rigoristi” (Paesi Bassi, Germania, Finlandia, Austria), come quello di un accesso agevolato ai crediti del fondo salva-stati o della Banca europea per gli investimenti, per rilanciare l’economia senza far esplodere i bilanci pubblici?
Non sono sufficienti. L’Italia ha appena varato una manovra pari a quasi un quarto del PIL pre-crisi, per evitare che questa recessione diventi una crisi finanziaria decennale. Un tale incremento del debito pubblico renderà la vita durissima ai suoi contribuenti, a meno che non sia posposto di decenni.
Non potendolo monetizzare a lungo termine attraverso la BCE, dobbiamo cercare di farlo in altri modi. Il sistema bancario può aiutarci a farlo, e i contribuenti italiani potranno per tanti anni ringraziare le proprie banche, riscattandole così dalla cattiva reputazione procuratale dalla crisi finanziaria del 2007-2008.
Un precedente storico con citazione d’autore
Uno strumento finanziario che ha una qualche analogia con le obbligazioni di cui viene discusso nell’intervista sono i Liberty BondsCollegamento esterno che il Ministero del Tesoro statunitense emise per sostenere le spese militari nel corso della Grande Guerra. Questi buoni del tesoro furono i protagonisti del cortometraggio di Charlie Chaplin “The Bond”.
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