I soccorritori navali della Guardia costiera sono addestrati a nuotare anche al buio e col mare in burrasca; molti migranti devono loro la vita [INTERVISTA]
Hanno una preparazione da marines, ma la loro funzione non è fare la guerra, bensì salvare vite umane. Spesso la loro mano rappresenta il primo contatto che i migranti hanno con l’Europa dopo giorni di estenuante viaggio in mare.
Sono i soccorritori navali, o rescue swimmer, un corpo speciale della Guardia Costiera italiana addestrato per nuotare nelle situazioni più estreme. Proprio in virtù di questa capacità, sono chiamati sempre più spesso a Lampedusa per tuffarsi nel cuore del Mediterraneo (anche di notte e col mare in burrasca) e portare a buon fine le numerose operazioni di soccorso in cui i militari italiani sono tuttora impegnati.
Senza di loro, i bilanci sui morti nel canale di Sicilia sarebbero tragicamente più alti.
Abbiamo dato la parola direttamente ai rescueAntonio Pepoli e Matteo Gregorio, per capire cosa significa salvare vite umane in condizioni così difficili, e abbiamo incontrato il comandante della 7° squadriglia della Guardia Costiera di Lampedusa, Salvatore Di Grande, per comprendere il funzionamento delle operazioni di soccorso, che vanno avanti incessanti anche in piena stagione turistica.
A Lampedusa non ci si può mai permettere di abbassare la guardia: i migranti sbarcati sull’isola tra luglio e agosto, infatti, sono migliaia. “Ma il sorriso delle persone che salviamo ci ripaga di tutto il nostro lavoro”, raccontano gli uomini della Guardia Costiera a TvSvizzera.it.
Servizio di Elena Boromeo Montaggio di Martina Tritten
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