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Viaggio tra i beni confiscati in Calabria #2

Un luogo fatiscente e non ancora riassegnato, un bene confiscato che si sarebbe dovuto trasformare in un centro diurno per ragazzi disabili, ma che da anni, versa nell'incuria e nell'abbandono perché l’associazione destinataria del bene, non è riuscita a trovare i finanziamenti per la ristrutturazione. In questo secondo servizio sui beni confiscati alla 'ndrangheta vi portiamo nell'Isola che (davvero) non c'è.

Una storia che ha del paradossale è quella raccontata da Mirella Gangeri, presidente dell’AGEDI, associazione genitori di bambini e adulti disabili che nel 2012, è assegnataria di un bene confiscato in contrada a Cugliari a San Gregorio, nella periferia sud di Reggio Calabria.

Si tratta di una villetta confiscata a Antonio Libri, figlio di Domenico, per tutti don Mico, firma dell’abusivismo edilizio degli anni ‘70 e ‘80. Centoventisei metri quadrati su due piani, nel quartiere della cementificazione selvaggia. È qui che il ‘re del mattone’, esponente della cosca Libri, fa una pianificazione urbanistica tutta fantasiosa. 

Qualche numero

Secondo l’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC) sono quasi 26mila i beni mobili, immobili e aziendali sequestrati in Italia. I dati, aggiornati al 21 maggio 2017, confermano un trend negativo per il meridione: sul podio ci sono, infatti, la Sicilia con 8868 e a seguire la Calabria (dove il maggior numero si concentra nella provincia di Reggio Calabria) con 4271 e la Campania con 4109.

Seguono Puglia (2410), Lazio (2065), Lombardia (1507), Toscana (396), Emilia Romagna (382), Piemonte (323), Veneto (317), Abruzzo (259), Sardegna (238), Liguria (147), Umbria (112), Basilicata (60), Marche (47), Valle d’Aosta (26), Trentino Alto Adige (20), Friuli Venezia Giulia (19) e Molise (7).

«Abbiamo fatto la richiesta perché dovevamo dare risposta a un bisogno, dobbiamo darla ancora oggi. Come famiglie di persone disabili siamo nella disperazione più totale, ci stiamo avvicinando alla vecchiaia, ma non sappiamo che fine faranno i nostri figli, non sappiamo più come farci capire».

Nel 2004 l’immobile viene sequestrato. Ma chi pensa di destinarlo all’AGEDI o non l’hai mai visto o non sa di che cosa si occupi l’associazione. Ogni passo è, infatti, una barriera architettonica.

«Quando abbiamo visto l’immobile, un attimo di disperazione l’abbiamo avuto, perché arrivando nel villaggio, la porticina era abbastanza stretta per farci passare una carrozzella. Entrando c’erano gradini, strettoie, scale all’esterno e una scala a chiocciola di 120 centimetri di diametro all’interno. Nonostante tutto questo, avevamo deciso di accettare la sfida», spiega Mirella Gangeri.
In una cerimonia solenne e istituzionale, l’allora sindaco di Reggio Calabria consegna l’immobile all’AGEDI. 
«In quell’occasione, da parte di tutti c’era un clima di ottimismo e fiducia. In tanti ci dicevano che eravamo stati coraggiosi ad accettare questo bene confiscato che versava in uno stato davvero disastroso. Già al momento della consegna era stato fatto presente sia al sindaco pro-tempore che al Prefetto, l’inadeguatezza della struttura e la sua inaccessibilità, almeno per le persone disabili, ma davanti alle telecamere, c’era stata la corsa nell’assicurarci un sostegno economico».

Sulla carta inizia a prendere forma ‘L’isola che non c’è’, un progetto di riqualificazione e adeguamento per creare un luogo sicuro e accogliente per tutti i soci dell’associazione. 
Costo dell’opera: 100mila euro, ma mesi di lettere e richieste di finanziamento a Comune, Provincia e Regione Calabria, non hanno nessuna risposta. Dopo diversi tentativi anche con la partecipazione a bandi ad hoc, consapevole che da sola non ce l’avrebbe mai fatta, l’AGEDI decide di restituire le chiavi, ma scopre che nel frattempo, il bene è stato occupato abusivamente. 

Solo dopo una denuncia e il sequestro preventivo, l’immobile torna tra i beni non assegnati. «Resta solo la consapevolezza che, ancora una volta, è stata tutta la città a perdere un’occasione importante, quella di trasformare un luogo appartenuto alla ‘ndrangheta in un’isola felice».

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