Grock, il clown svizzero amico di Hitler che fece ridere mezza Europa
Per anni il nome di Grock è stato associato a quello della comicità. Ma sul “Re dei clown”, nato nel Canton Berna e vissuto a Imperia, è calata l’ombra del suo controverso legame con Hitler. Un rapporto che è al momento al centro degli studi di storici e storiche.
Se qualcuno dovesse scommettere sulla provenienza geografica del clown più amato e venerato del Ventesimo secolo, di colui che incarnò il concetto stesso di comicità durante tutta la prima metà del secolo scorso, con molta probabilità non penserebbe a uno svizzero.
E invece Adrien Wettach, in arte Grock, nacque nel Canton Berna, a Reconvilier, nel 1880. Lì visse la sua infanzia, lì si formò e lì iniziò ad amare il lavoro che lo rese ricco e famoso in tutta Europa.
La parola “clown” è forse riduttiva per un artista che fu circense, comico, polistrumentista e attore. Un uomo che scalò le vette della notorietà eppure il cui nome è oggi legato alle ombre del suo legame – non ancora pienamente chiarito – con Adolf Hitler.
Da Adrien a Grock
Il piccolo Adrien nacque in una famiglia piuttosto modesta. Il padre era orologiaio di professione ma musicista e funambolo per passione. Per questo Adrien visse sin da subito in un ambiente artistico. Sin da piccolo ha mostrato una forte inclinazione per lo spettacolo. Inclinazione che si è consolidata quando, all’età di sei anni, ha assistito a un piccolo circo con le sue sorelline. Quell’esperienza ha segnato profondamente il giovane Adrian, che lì decide di dedicare la sua vita al circo e al ruolo del clown.
A soli quattordici anni, Adrien iniziò a lavorare in un circo come illusionista, funambolo e uomo-serpente. Con il tempo, ha ampliato le sue competenze diventando un maestro in diverse discipline circensi come giocoleria, contorsionismo, equilibrismo e acrobazia. Inoltre, imparò a suonare numerosi strumenti musicali, tra cui il violino e il pianoforte che divennero elementi chiave dei suoi numeri comici.
Il passaggio da Adrien a Grock arriva nel 1903, quando il clown svizzero incontra un collega, l’eccentrico Marius Galante. Quest’ultimo col nome Brick e lo svizzero col nome Grock crearono un fortunato duo che lavorò insieme per anni.
In poco tempo Grock tornò ad lavorare come solista. La sua fama crebbe rapidamente, portandolo a esibirsi nei principali teatri europei e americani. La consacrazione definitiva arrivò nel 1919, quando fu proclamato “Re dei clown” all’Olympia di Parigi.
Da quel momento comincia l’ascesa vera e propria di Grock che abbandona il circo tradizionale per esibirsi nei music-hall, mantenendo sempre un repertorio di altissimo livello.
La mancata consacrazione al cinema
Durante la prima metà del Novecento la comicità aveva due nomi: in Europa quello di Grock; in America quello di Charlie Chaplin. Eppure, a distanza di quasi un secolo, del secondo tutti conoscono il nome e le gesta, del primo quasi nessuno sa niente.
“Chi si occupa di clownerie non può non conoscere Grock. Chi fa il clown non può non passare da lui per quello che significato per il settore. Quindi i clown professionisti l’hanno visto, lo stimano, lo guardano, lo studiano. Ahimè, però, si tratta di un personaggio che è rimasto famoso solo nella nicchia. Nonostante fino a qualche decennio fa tutte e tutti conoscevano il suo nome”, spiega a TVSvizzera.it la dottoressa Luisa Vassallo, storica, studiosa ed estimatrice di Grock.
Il motivo? “Charlie Chaplin è rimasto vivo anche e soprattutto grazie ai suoi film che lo hanno reso l’icona che è. Per Grock, invece, è stato diverso”, spiega Vassallo.
Non che Grock non ci avesse provato a diventare un volto della Settima Arte. Lo svizzero comparve in tre film: “Son premier film” (1926), “Grock presenta Grock” (1931) e “Arrivederci, signor Grock” (1950).
Eppure non riuscì mai a trasmettere sullo schermo le stesse emozioni e la stessa verve che lo rese famoso ai suoi tempi grazie ai suoi spettacoli dal vivo. Probabilmente il motivo sta nelle parole che egli stesso disse e che sono riportate nel volume di Massimo Locuratolo, “Grock. La mia carriera di clown” (Mursia Editore). “Le mie migliori gag sono nate nelle improvvisazioni di fronte al pubblico: scaturivano da circostanze impreviste, qualche volta assolutamente per caso. L’effetto in cui avvicino il pianoforte alla sedia mi è venuto in mente, senza nessuna premeditazione a Madrid. Mi era stato messo a disposizione un piano verticale. Una sera gli inservienti collocarono il pianoforte proprio al limite dell’area. Per rimediare all’errore scelsi di avvicinare lo strumento alla sedia. Questo movimento incongruo fece esplodere uno scoppio di risate generale”, si legge nel volume.
Insomma, senza il continuo confronto col pubblico, Grock non poteva essere Grock. A differenza di Chaplin che riuscì a comprendere e sfruttare meglio il cinema. E chissà se i due abbiano mai discusso di questo loro diverso approccio all’arte della comicità nei tanti incontri che ebbero in quegli anni?
Altri sviluppi
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“Diverse volte Charlie Chaplin è venuto a trovare Grock qui, a Imperia, nella villa-circo che si fece costruire. Quando Charlie Chaplin veniva a trovare Grock, i due passavano il tempo a fumare, a parlare, a chiacchierare, a condividere la loro arte, soprattutto si divertivano a imitarsi l’uno con l’altro”, racconta ancora la dottoressa Vassallo.
Il problematico rapporto con Hitler
Ma più che il mancato passaggio dai palchi ai set, ciò che più di ogni altra cosa oggi tiene Grock nella sua nicchia sono le ombre gettate su di lui dal suo controverso rapporto con Adolf Hitler e il potere nazista.
Erano passati anni dalla consacrazione, a Parigi, di Grock come “Re dei clown” e oramai lo svizzero calcava i palchi più importanti d’Europa e faceva ridere mezzo mondo. Ma quando le cose, nel Vecchio Continente, cominciarono a mettersi male e quando Hitler cominciò a mostrare, senza remore, il vero volto del Nazismo, Grock decise di assumere una posizione che fu criticata sia all’epoca che successivamente. Non solo non si schierò chiaramente contro Hitler, come aveva fatto – ad esempio – Charlie Chaplin; ma non si limitò neanche a dichiararsi neutrale.
Grock mostrò ammirazione per il Führer che, dopo uno spettacolo nel 1934, lo invitò nel suo camerino e gli confessò di aver visto lo spettacolo non meno di tredici volte. Come è stato raccontato lo scorso anno dalla direttrice del Museo di Bienne Bernadette Walter nel momento dell’arrivo, in archivio, di un gran numero di documenti dell’artista che sono ancora in fase di studio, “Grock riceve delle foto autografate da Hitler che appende in casa sua, colpito dal suo carisma, dai suoi occhi azzurri, dalla sua ascesa. I suoi parenti in Svizzera sono scioccati”.
Eppure “quando nel 1938 Grock dovette fornire la prova della sua appartenenza alla razza ariana, ciò moderò il suo entusiasmo”. Ma secondo Bernadette Walter Grock più che essere un vero estimatore di Hitler probabilmente lo trattava con garbo e venerazione per puro opportunismo. Tanto che in quegli anni Grock continuò ad esibirsi anche in Francia e nel Regno Unito.
I legami con il nazismo, la sua posizione rispetto ad Adolf Hitler e i veri motivi che stanno dietro alle decisioni di Grock in quegli anni sono ad oggi in fase di studio da parte degli storici. Ma a Imperia, dove ancora oggi c’è la sua Villa che nel frattempo è diventata un museo, esiste una leggenda a riguardo.
Durante uno spettacolo a Bologna, Grock fu duramente fischiato e contestato. Qualcosa a cui lo svizzero non era affatto abituato. Ma nella “rossa” Bologna i suoi legami con il Führer non potevano passare sotto traccia. Secondo il racconto, questo fu un evento traumatico per Adrien che al suo rientro a Imperia fece qualcosa di insolito per una persona che di rado sottolineava le sue origini e il suo legame con la madre patria. Arrivato nella sua Villa, Grock decise di issare altissima la bandiera rossocrociata. Un atto con il quale, probabilmente, il clown voleva allontanarsi dalle questioni politiche, dalla guerra, dalle tensioni e dalle prese di posizione. E abbracciare una più totale neutralità.
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