Mutolo: “La trattativa stato-mafia c’è stata e ci sarà sempre”
Parla il più stretto collaboratore di Totò Riina, il fidato autista. Figura operativa: omicidi, estorsioni, intimazioni, sequestri . Nel 1974 fu incaricato di rapire Berlusconi
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Gaspare Mutulo
“La trattativa fra Stato e mafia c’è stata. Continua senz’altro anche oggi. E ci sarà sempre”. Gaspare Mutolo, ex killer di Cosa Nostra ed ex braccio destro di Rosario Riccobono, il boss di Partanna Mondello, non ha dubbi: la mafia ha sempre raggiunto accordi con lo Stato. Lo incontriamo in una località segreta dove vive con moglie, figli e nipoti. Non ci mostra il suo volto, nascosto da una maschera bianca, ma i suoi quadri: “Ho iniziato a dipingere in carcere, in cella. E non ho più smesso. Sulle tele riporto la mia terra, la mia amata Sicilia”.
Mutolo oggi è un pittore ma è soprattutto un collaboratore di giustizia, uno degli ultimi interrogati da Paolo Borsellino prima della strage di Via D’Amelio.
“Nel dicembre del 1991, quando ero detenuto nel carcere di Spoleto, chiesi di incontrare Giovanni Falcone. Al giudice dissi che volevo collaborare. E che avrei parlato solo con lui. Mi spiegò che non stava più in procura, ma al Ministero, e che avrei dovuto fidarmi di Paolo Borsellino…Risposi: va bene, dottor Falcone, parlerò … e comincerò dal suo ufficio. Fece un salto sulla sedia. Sospettava qualcosa ma non sapeva. Impallidì quando sentì i nomi di Bruno Contrada e Domenico Signorino… Per Signorino soffro ancora, era uno dei due pm del maxiprocesso… si suicidò dopo le mie dichiarazioni”.
Invece Bruno Contrada, prima capo della squadra mobile di Palermo poi numero due del Sisde (i servizi segreti interni), finì in manette il 24 dicembre del 1992. Condannato in via definitiva a 10 anni nel maggio del 2007 per concorso esterno in associazione mafiosa, Contrada ottenne i domiciliari l’anno successivo, il 24 luglio del 2008, per gravi motivi di salute. È completamente libero dall’ottobre del 2012.
Quando incontrò Paolo Borsellino?
“Nel pomeriggio del primo luglio 1992, a Roma, negli uffici della Dia… Ricordo che in quelle settimane, per lui le ultime, il dottor Borsellino era molto nervoso. Durante un interrogatorio – mentre parlava con delle persone delle istituzioni nel corridoio – si mise a urlare all’improvviso: questi sono dei pazzi, dei matti. Era arrabbiato con personaggi dello Stato che volevano offrire ai mafiosi una eventuale amnistia in cambio di una dissociazione. Sapeva che c’erano questi contatti in corso”.
Cosa sa dell’omicidio di Piersanti Mattarella?
“Ero in carcere quando fu ucciso… so che la moglie indicò Valerio Fioravanti, per gli occhi. Gli stessi occhi di ghiaccio di Nino Madonia. Nessuno ha mai pensato al Madonia”.
Una frase e un ricordo che arrivano a distanza di oltre trent’anni da quel 6 gennaio del 1980, quando la mafia uccise a Palermo in Via della Libertà l’allora presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella. “Saro Riccobono mi disse che Mattarella si era rivolto a Roma per aprire un’inchiesta a livello politico sulle trame della politica siciliana”.
Gaspare Mutolo continua a muovere le mani e a parlare. Usa spesso il dialetto, ed è in siciliano che ci racconta di Nino Gioè, il capomafia di Altofonte che si sarebbe impiccato in carcere la notte tra il 28 e 29 luglio del ’93, il giorno successivo agli attentati a Milano e Roma. “Sapìa di la pastetta… (sapeva dell’accordo, della trattativa fra Stato e mafia). L’ho conosciuto negli anni ’70. Era un mafioso dell’ala corleonese, imparentato con Franco di Carlo… Eravamo amici. Sicuramente qualcuno lo ha eliminato. Chi non lo so”.
Lei è stato l’autista di Riina. Ci andava d’accordo?
“È peggiorato col tempo, è diventato un dittatore sanguinario. Quando ha cominciato a far ammazzare per niente, a far uccidere pure le donne incinte, è stata la fine di tutto. Io ho fatto molti errori, ma cose così mai”.
Ci sono stati boss mafiosi massoni?
“Tanti… soprattutto nella provincia di Trapani”.
Quante persone ha ucciso?
“Mi rendo conto solo oggi del dolore che ho provocato… Ma una volta la mafia non era così, c’era un codice comportamentale. E anche l’omicidio aveva una sua giustificazione. Sono pentito ma non posso cambiare il passato”.
di Raffaella Fanelli
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