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Salvini e il fattore M

Matteo Salvini in conferenza stampa al Viminale.
Il vicepremier Matteo Salvini in un incontro con la stampa al Viminale. Keystone

"Un pezzo della maggioranza vota in un modo, un altro pezzo in un altro, un problema politico c'è". Con queste parole il capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo ha ben riassunto la delicata fase che si trova ad affrontare il Governo Conte dopo il via libera della Tav da parte di Palazzo Madama.


L’esito della battaglia contro l’opera ferroviaria condotta dai Cinque stelle ha messo in luce tutte le contraddizioni della maggioranza giallo-verde, acuendo le fibrillazioni evidenziatesi già con le elezioni europee di fine maggio, che avevano visto ribaltare i rapporti di forza presenti all’interno dell’esecutivo.

I protagonisti di questa vicenda hanno rinviato incontri e conferenze stampa per seguire da vicino l’evolversi della situazione e nel corso del pomeriggio di giovedì la convocazione del premier Giuseppe Conte al Quirinale ha fatto temere un’accelerazione della crisi, che almeno per il momento nessuno ha avuto il coraggio di aprire formalmente. Si è trattato solo di “un colloquio informativo”, hanno subito voluto precisare le fonti del capo dello Stato.

Governo appeso a un filo

Resta il fatto che il destino del premier sembra appeso a un esile filo dopo le bordate giunte dal quartier generale della Lega. Il Carroccio non sembra infatti intenzionato a restare imbrigliato nell’impasse che sta attraversando la maggioranza (e di riflesso il governo) e pretende un deciso cambio di marcia. Detto altrimenti: basta tergiversazioni e veti grillini su autonomia, flat tax e infrastrutture. Viene anche chiesta la testa dei ministri “nemici”, in particolare di Danilo Toninelli e Giovanni Tria, il primo per il freno alle grandi opere e il secondo per le insanabili divergenze sulla prossima manovra finanziaria che il ministro dell’Interno ha già iniziato ad abbozzare con il coinvolgimento delle parti sociali.

Ma rimpasto e accelerazione potrebbero non bastare: nel corso della giornata si sono intensificate le pressioni su Matteo Salvini affinché stacchi la spina e si vada a elezioni. Un’ipotesi che sta guadagnando consensi all’interno del Carroccio alla luce dei sondaggi che fanno volare la formazione di destra.

Dubbi sono sorti anche tra i pentastellati, obbligati a sostenere una battaglia al Senato, persa in partenza, solo per non deludere una parte consistente di ciò che resta della sua base, ma le cui scorie potrebbero definitivamente pregiudicare l’azione politica dei grillini. Il referendum tra i militanti sulla piattaforma Rousseau evocato in queste ore sulla prosecuzione dell’esperienza di governo rischia infatti di sconfessare la conduzione di Luigi Di Maio, innescando un’ulteriore crisi dalla quale il movimento rischia di non potersi più risollevare.

Che farà Mattarella?

Tutti scenari plausibili che nei prossimi giorni, verosimilmente già nelle prossime ore, prenderanno una direzione univoca. Ma su tutta questa vicenda pesa un grosso interrogativo la cui soluzione grava unicamente sulle spalle del vicepremier leghista. Quale sarà l’atteggiamento del presidente della Repubblica? Se cade Conte non c’è infatti alcuna garanzia che Sergio Mattarella sciolga le Camere e si vada a votare ad ottobre.

In parlamento potrebbero infatti nascere, dopo i travagli e le lunghe trattative di rito, nuove maggioranze, soprattutto se uscirà di scena, più o meno spontaneamente, Luigi Di Maio che qualcuno all’interno del movimento ha iniziato a indicare come uno dei possibili responsabili degli insuccessi pentastellati. Nel frattempo lo stesso Giuseppe Conte si è oggettivamente ritagliato un suo ruolo autonomo emancipandosi almeno in parte dal partito che lo ha indicato, come testimonia proprio la controversia sulla TAV, e potrebbe candidarsi alla guida di un nuovo esecutivo con diversa base parlamentare, escludendo così la formazione di un eventuale impopolare governo tecnico.

A tutta velocità verso le urne?

Fantapolitica? Oggi sicuramente: allo stato attuale non si delineano le condizioni politiche per convergenze inedite ma è anche vero che non c’è grande voglia, soprattutto tra pentastellati e forzisti, di sottoporsi alla prova delle urne. Anche perché una consultazione popolare, secondo le più recenti indagini demoscopiche, dimezzerebbe la rappresentanza in parlamento delle due formazioni citate e nel caso del Pd, pur in leggera crescita, verrebbe ribadita la sua marginalità nel corrente quadro politico.

D’altro canto le stagioni politiche, come insegnano le parabole di Renzi e dei Cinque Stelle, possono durare brevi lassi di tempo e per questo motivo la Lega, se si protraesse la legislatura, rischierebbe di perdere l’attimo favorevole e il probabile trionfo alle politiche. Uno scenario indigesto per il Carroccio che impone a Salvini di far leva sulle sue fin qui inedite doti di giocatore di poker piuttosto che sulla grande capacità di comunicatore, di cui ha fornito ampie prove in quest’anno.          

 

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