Il cambiamento climatico ha portato a delle vendemmie anticipate e a un vino più alcolico. Il caldo sta minacciando l'uva e il suo raccolto per la vinificazione. Ora, per salvare la vendemmia, nelle Alpi si sperimenta le colture ad alta quota o si punta su vitigni mediterranei.
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Gilberto Mastromatteo, RSI News
Portare l’uva a mille metri per ritardare la vendemmia. E per salvare il vino. Solo vent’anni fa sarebbe stata una follia, per i viticoltori. Troppo freddo, l’uva non sarebbe maturata. Oggi non è più così. Il fenomeno è ormai sempre più frequente sulle Langhe piemontesi, terre di Barolo, o ai piedi degli Appennini. Ma anche nella valle del Duero, in Portogallo, patria del Porto.
In Trentino, l’azienda Pojer e SandriCollegamento esterno fu tra le prime ad accorgersi degli effetti del clima sull’uva. Vendemmie in perenne anticipo. Grappoli raccolti al caldo torrido invece che nel fresco dell’autunno. Già nel 1991 si convinsero ad utilizzare una cella frigo. Negli anni ’80 brevettarono una macchina per estrarre acqua dal mosto e strappare un grado in più al vino. Oggi quello strumento non si usa più. Il problema è opposto: l’uva matura troppo e il vino è più alcolico.
Così Pojer e Sandri hanno portato le proprie vigne di Pinot Nero dai 350 metri di quota ai 650. Lo stesso faranno con il Pinot Meunier. Mentre la varietà tedesca Solaris è stata piantata nientemeno che a 950 metri di altitudine, nell’Alta Val di CembraCollegamento esterno. Una quota destinata a salire. E presto.
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