Quegli svizzeri e quelle svizzere impegnati nella lotta contro la Xylella
In Puglia, la Xylella ha distrutto in dieci anni la più grande foresta di ulivi secolari al mondo. Alcuni svizzeri e svizzere che si sono trasferiti nella regione del tacco d’Italia per produrre olio provano a salvare i loro alberi mentre una compagnia elvetica biotech ha interrotto i test per trovare una cura.
A proteggere gli ulivi secolari della Puglia, dal 2007, ci pensava anche una legge regionale. Sanciva, per la prima volta in Italia, che una specie vegetale fosse intoccabile, come un monumento o un’opera d’arte. Estirpare e vendere questi anziani giganti dai tronchi contorti e rugosi, quasi 400’000, significava incorrere in multe fino a 30’000 euro. Ad albero.
Qualche anno dopo non sarebbe stato l’uomo però a colpire 21 milioni di ulivi sparsi su un’area di 750’000 ettari, un terzo della superficie della Puglia, ma la Xylella. Ad undici anni dalla scoperta dei primi ulivi infetti, tra chi ricostruisce il paesaggio, ripiantando non solo ulivi e provando a salvare quelli ancora in piedi, ci sono anche alcuni svizzeri.
Come Clarissa Marzal, per vent’anni conservatrice d’arte in una collezione privata di Ginevra ed oggi in prima linea nella lotta contro l’emergenza fitosanitaria più grave degli ultimi decenni in Europa. “Prima mi prendevo cura meticolosamente delle opera d’arte per garantirne la conservazione ed un’esistenza duratura, oggi faccio lo stesso con i miei ulivi” racconta a tvsvizzera.it. Clarissa arriva in Puglia su suggerimento di amici svizzeri originari della regione, trova una casetta ed un terreno con 57 olivi (ora ce ne sono 150) tra le province di Bari e Brindisi, non lontano dai luoghi che a metà giugno ospiteranno i leader del G7.
La passione di Clarissa per l’olio d’oliva diventa una scelta di vita quando nel 2020, alla fine di una giornata a raccogliere olive assieme al suo compagno Christophe, si ritrova in frantoio, immersa nell’odore pungente dell’olio appena molito, a ritirare i suoi primi 370 litri di oro verde. “E da quel giorno la mia vita ha preso una direzione differente”, spiega Clarissa.”
In Europa, il batterio Xylella fastidiosa è attualmente diffuso in Italia, Francia, Spagna e Portogallo e continua a espandersi. Ma qual è la situazione in Svizzera, soprattutto in zone agricole come il Vallese dove la monocoltura di piante con frutti a nocciolo pone un rischio maggiore di contaminazione da Xylella?
“Attualmente, la Svizzera è considerata esente da Xylella,” conferma Alan Storelli del servizio fitosanitario di Agroscope, l’ente che fornisce raccomandazioni scientifiche al ministero dell’agricoltura e dell’ambiente.
La malattia è stata individuata per la prima volta in Svizzera nel 2015, quando delle piante di caffè infette importate dall’America centrale sono state rilevate su segnalazione di un paese europeo da cui erano transitate. “La fortuna è stata che il problema era confinato ad alcune serre e non ha colpito alberi nelle coltivazioni,” afferma Storelli.
Dal finire del 2020, in Svizzera è in vigore una direttivaCollegamento esterno, che ricalca quella europea, sulla sorveglianza e la lotta delle fitopatie da quarantena. Il documento elenca le 350 piante spontanee e coltivate che possono essere attaccate dalla Xylella, come la vite ed il ciliegio, e prevede l’istituzione di zone di contenimento, zone cuscinetto e l’eliminazione delle piante infette oltre ad azioni contro gli insetti vettore. Spesso Agroscope riceve segnalazioni di piante malate che presentano sintomi simili alla Xylella. In questi casi, le autorità cantonali effettuano i campionamenti da inviare ad Agroscope per le analisi. Ad esempio, un anno fa, racconta Storelli, Agroscope ha analizzato un albero di prugne che sembrava colpito da Xylella. Il test molecolare era negativo e il laboratorio ha suggerito che si trattava invece di Verticillium, un fungo.
Un ecosistema malato
Ma da lì a poco anche i suoi alberi cominciano a manifestare sintomi della malattia. Alcuni rami seccano e le foglie presentano i bordi rossastri. La Xylella, arrivata nei campi intorno a Gallipoli dall’America centrale su una pianta ornamentaleCollegamento esterno, diffondendosi da un albero all’altro tramite un insetto vettore, la sputacchina, aveva viaggiato per 150 chilometri verso nord fino a raggiungere il suo uliveto . E purtroppo, ad oltre 100 anni dalla scoperta del batterio sulle viti della California, non esiste ancora una cura. “Serve provare a convivere con la malattia, ormai endemica, attuando delle buone pratiche agronomiche e piantando le varietà resistenti fino a quando la scienza non troverà una cura definitiva”, ci dice Donato Pentassuglia, assessore all’agricoltura della Regione Puglia.
L’analisi dei terreni di Clarissa conferma una carenza di materia organica che contribuisce a indebolire gli alberi. Per le autorità locali che erano giunte alle stesse conclusioni anche prima dell’arrivo della Xylella, è colpa del diffuso utilizzo fino agli anni ’90 di anticrittogamici ed erbicidi per facilitare la raccolta delle olive da terra e della salinizzazione dei terreni. I frequenti periodi di siccità hanno infatti abbassato il livello della falda favorendo l’infiltrazione di acqua marina. Come prime misure per assistere gli alberi, Clarissa rimuove le cime secche e lascia le erbe sfalciate e macinate alla base dei tronchi per fertilizzare i terreni. Ad aiutare la coppia, ci sono i ragazzi di X-farm di San Vito dei Normanni, una cooperativa agricola di 50 ettari su terreni confiscati alla criminalità.
“Quello che abbiamo capito in questi anni è che sicuramente la Xylella è un sintomo di un ecosistema che non sta funzionando e che esiste un attaccamento delle comunità alla monocoltura dell’uliveto come unico paesaggio possibile”, racconta Marco Notarnicola di Xfarm, nel giorno in cui si inaugura uno spazio espositivo che prende il posto di un vecchio capannone abusivo.
Da Xfarm, oltre a pensare alla cura del singolo ulivo si cerca di ricostruire un ecosistema che possa rispondere meglio al riscaldamento globale ed alla diffusione degli agenti patogeni e dei parassiti che per la rivista NatureCollegamento esterno causano danni fino 220 miliardi di dollari all’anno e secondo la FAOCollegamento esterno provocano la perdita del 40% dei raccolti.
Per aiutare gli ulivi, a Xfarm potenziano il terreno attraverso l’agricoltura rigenerativa, introducendo la coltivazione congiunta di ulivi, carrubi ed altre piante come carciofi, fave e corbezzoli. “Gli ulivi continuano ad essere attaccati dalla Xylella ma con un terreno più fertile, resistono meglio, pur producendo quantità minori olive, e non soccombono”, spiega Giacomo D’Amelio di Xfarm.
I vantaggi dell’agricoltura rigenerativa
“Quando sono arrivato in Puglia, ho visto vaste aree di terra fertili ma spesso abbandonate per mancanza di risorse e molti giovani disoccupati”, ci racconta Hans Peter Imhof, fondatore di Agricola dell’Orso ad Oria, non lontano da dove ha la sua sede Xfarm.
Dopo una carriera presso Nestlé a contatto con il mondo agricolo in Asia, Africa e America Latina, insieme a sua moglie Lesley, decide di acquistare alcuni fazzoletti di terra da nove proprietari, riuscendo a mettere insieme un’estensione di quasi sei ettari. “Alcune persone nel 2018 ci avevano già avvertito della Xylella, dicendo che la malattia era dietro l’angolo ma fondamentalmente li abbiamo ignorati.”, spiega Imhof.
I proventi della vendita di 1’000 litri di olio da 288 ulivi che secondo i calcoli di Imhof servivano a coprire le spese sono arrivati solo dopo la loro prima ed unica raccolta nel 2019. Poi quasi inesorabilmente anche sui suoi terreni la Xylella ha ingrigito come un fuoco invisibile tutti gli alberi. Imhof reputa da subito la salute degli alberi troppo compromessa per sperare in una ripresa vegetativa e decide di eradicare 200 alberi, sostituendoli con il leccino, una delle due varietà resistenti. Da poco, come conferma Domenico Pentassuglia, se ne potranno piantare anche altre due: la lecciana, che è un incrocio tra il leccino e l’arbosana, ed il Leccio del Corno che viene dalla Toscana.
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Imhof decide inoltre di ridisegnare completamente i suoi terreni aggiungendo all’uliveto una coltivazione di melograni e un vigneto di susumaniello, un’antica varietà quasi scomparsa. Nello spazio intermedio mette a dimora anche altri tipi di alberi come fichi, mandorli ed intorno alle piantagioni delle bacche.
Nello spazio lasciato libero dagli alberi espiantati ora c’è un impianto semintensivo di ulivi resistenti, con una densità di 250 piante ad ettaro. Rispetto alle 800-1500 piante dei sistemi intensivi, questa soluzione è più sostenibile e rispecchia il paesaggio olivicolo pugliese prima della Xylella. I sistemi intensivi abbassano del 40% i costi di produzione grazie alla raccolta ed alla potatura meccanizzata ma richiedono un’irrigazione importante e terreni più ampi adatti alla meccanizzazione (nella parte meridionale della regione, la superficie media dei terreni è di mezzo ettaro).
Pur abitando a Lutry, nel Canton Vaud, Imhof passa una settimana al mese nella sua fattoria soprattutto per sensibilizzare gli altri agricoltori della zona sui vantaggi dell’agricoltura rigenerativa e coinvolgerli in un consorzio per servire i mercati nazionali e internazionali.
Un laboratorio a cielo aperto
La Xylella è ormai arrivata alle porte di Bari, il capoluogo della regione che una volta rappresentava un terzo della produzione olivicola italiana con cinque DOP, di cui molte in biologico, pluripremiate nei concorsi internazionali. Da due anni non è più obbligatorio tagliare gli alberi malati e quelli intorno come dettano le direttive europee per combattere i patogeni da quarantena. “Ora si effettuano circa 10’000 campionamenti al mese su tutte le piante in un raggio di 2,5 km intorno a quella infetta per evitare di devastare il paesaggio estirpando tutto per 50 metri intorno alla pianta”, spiega Pentassuglia.
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La regione è ormai un laboratorio a cielo aperto seguito dalla comunità scientifica mondiale. Su alcuni uliveti infetti si testano anche soluzioni per rimettere gli ulivi in condizione di ritornare a produrre. Lo si fa attraverso l’innesto di varietà resistenti su tronchi di ulivi secolari, irrorando le piante con un biocomplesso di zinco, rame e acido citrico (metodo Scortichini), oppure con un detergente naturale fatto con oli vegetali e acqua di infusione di diverse specie botaniche (NuovOlivo).
Le sperimentazioni portate avanti a Carovigno dalla compagnia svizzero-americana Invaio, parte del conglomerato biotech Flagship Pioneering, non hanno invece permesso di trovare una cura alla Xylella. L’azienda non ha “identificato un ingrediente attivo in grado di contrastare in modo affidabile la malattia sul campo”, spiega Kirsty James, responsabile della comunicazione della società con sede a Basilea.
Il trattamento testato sugli ulivi prevedeva la perforazione del tronco per somministrare un micronutriente contenente ioni di zinco e rame nel sistema vascolare dell’albero tramite una punta estremamente sottile, per ridurre al minimo il danno alle piante.
La società elvetica, dopo aver abbandonato la speranza di salvare gli ulivi, ora prova con gli agrumi oltreoceano. Ha da poco ottenuto la registrazione di Trecise, il prodotto utilizzato in Puglia, negli Stati Uniti e sono in corso le sperimentazioni in Florida ed in Brasile per combattere il Candidatus liberibacter (Clas), un batterio che si propaga come la Xylella attraverso un insetto che punge la foglia e poi si moltiplica nelle arterie dell’albero fino ad intasarle uccidendo la pianta. È la cosiddetta malattia di inverdimento perché le arance rimangono verdi e non maturano ed ha portato all’eliminazione di almeno 52 milioni di alberi dal 2004, il 20% degli aranceti brasiliani.
Lungaggini burocratiche
I reimpianti invece procedono lentamente con solo tre milioni di nuovi alberi. Questo ritardo è evidente attraversando il dedalo di stradine in una delle zone più colpite, la foresta dei Paduli. Dove una volta tra i muretti a secco c’erano cinque milioni di alberi sparsi in undici chilometri quadrati, ora si vedono solo sagome sinistre e grigie di alberi senza foglie, grandi tronchi bruciati e campi di grano che hanno già cancellato le tracce dei vecchi ospiti.
Fino ad ora, l’ostacolo più grande alla realizzazione di nuovi impianti, oltre all’abbandono delle terre, è dato dalla difficoltà di accesso dei piccoli agricoltori ai sussidi regionali ed alle lungaggini burocratiche. “Gli stanziamenti regionali hanno coperto solo il 10% del territorio quindi c’è il 90 % dei terreni che non ha ricevuto alcun aiuto”, rileva Pentassuglia che vorrebbe sostenere la creazione o il potenziamento di cooperative.
Intanto, in attesa dei fondi, 250 contadini hanno potuto piantare oltre 30’000 alberi con OlivamiCollegamento esterno, un’associazione che consente a chiunque di adottare gli ulivi in cambio di un po’ d’olio. L’associazione si è spinta ancora più in là e con lo spin-off Carborea é entrata nel mercato dei crediti di carbonio derivanti dai nuovi impianti.
In pochi mesi abbiamo venduto 2’000 tonnellate, generando 40’000 euro che hanno aiutato gli agricoltori a piantare”, dice Simone Chiriatti. “Solo così possiamo restituire il territorio verde ai nostri figli, così come ci è stato donato dai nostri genitori e nonni.” L’azienda opera all’interno del mercato volontario, stringendo accordi diretti con gli acquirenti e punta a certificare 1’500 ettari.
Nonostante tutti gli sforzi, oltre a ripiantare gli alberi servirà ricostruire un intero comparto. Prima della Xylella c’era una media di tre frantoi in ognuno dei 99 comuni del Salento. Ora ne sono rimasti pochissimi e 5’000 posti di lavoro sona stati persi nella filiera. “Non credo che riapriranno più”, racconta Valerio Scorrano a capo della Cooperativa Sannicolese, “perché hanno venduto i macchinari in Grecia, Marocco e Tunisia”.
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