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Quelle multinazionali svizzere che licenziano in Italia

uomini e donne con bandiere e striscioni
Manifestazione davanti alla davanti alla sede dell’associazione economica Assolombarda. Federico Franchini

La bernese Bystronic vuole chiudere due stabilimenti a sud di Milano mentre il colosso del cacao zurighese Barry Callebaut intende sbarazzarsi di una fabbrica di cioccolato centenaria in Piemonte. Abbiamo incontrato il personale, pronto a lottare per quelle che considera “ristrutturazioni ingiustificate”.

Milano, 15 ottobre 2024. Fumogeni, striscioni e cori: “Vergogna, vergogna”; “Dignità, dignità”; “Vogliamo solo lavorare”. Un gruppo di oltre cento operai protesta davanti alla sede dell’associazione economica Assolombarda. All’interno è in corso una riunione tra i sindacati e i rappresentanti della Bystronic. La crisi è iniziata lo scorso 10 ottobre quando questa multinazionale svizzera ha annunciato, senza alcun preavviso, di voler chiudere due stabilimenti a sud di Milano, licenziando 150 persone.

“È stato un fulmine a ciel sereno. A fine 2023, con un video diffuso durante la festa di Natale, i vertici del gruppo hanno elogiato il contributo dei lavoratori, definendoli la forza trainante dell’azienda. E ora eccoci qua, con l’incubo dei licenziamenti collettivi in arrivo proprio a Natale”: Angelo Alpoli, rappresentante sindacale dei dipendenti è una delle prime persone che incontriamo quando arriviamo sul posto. L’uomo non nutre molta speranza per questo primo incontro: Si è rotto il rapporto di fiducia. A ferirmi è la totale mancanza di sensibilità di Bystronic, per i quali siamo sempre stati disponibili. Molti di noi sono persone monoreddito, con mutui e carichi familiari”.

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“Si sbarazzano di noi come si fa coi rifiuti”

Bystronic è un gruppo basato nel Canton Berna, attivo a livello globale e specializzato nella progettazione e nella produzione di macchine di automazione industriale e di taglio laser. Nel 2022 ha preso il controllo totale della società lombarda Antil SPA, nel cui capitale era già entrato qualche anno prima. Nata nel 1989, Antil era una realtà tecnologica ad alto contenuto innovativo specializzata nello sviluppo di soluzioni di automazione per la lavorazione delle lamiere. Due anni dopo questa operazione, il CEO dell’azienda elvetica, Domenico Iacovelli, in carica da qualche mese, ha annunciato per email la chiusura degli stabilimenti di San Giuliano Milanese e Fizzonasco di Pieve, quelli dell’ex Antil, oggi divenuta Bystronic Automation Technology.

“Quello che vediamo è il risultato finale di scelte operate da manager senza scrupoli che in pochi anni hanno distrutto un marchio di prestigio”.

Giorgio Viganò, sindacalista

“La cosa che mi fa più male è che sono arrivati a prendersi un’azienda che era un’eccellenza e l’hanno smantellata in qualche anno, sbarazzandosi di noi come si fa con i rifiuti”, ci dice Riccardo, un altro operaio arrivato in città per far sentire il proprio malcontento. “Quello che vediamo è il risultato finale di scelte operate da manager senza scrupoli che in pochi anni hanno distrutto un marchio di prestigio che nel nostro paese era sinonimo di affidabilità e serietà”, gli fa eco Giorgio Viganò, di FILCAMS CGIL in rappresentanza dei dipendenti di Bystronic Italia, per ora non toccati dai licenziamenti ma presenti alla manifestazione. Anche perché, come dice Viganò “nessuno dei lavoratori del gruppo è ormai più sicuro”.

Bystronic è quotata alla Borsa di Zurigo dal 2021. Il maggior azionista è il gruppo che fa capo alle famiglie Auer, Schmidheiny e Spoerry, la cui fortuna cumulata è stimata tra i 500 e i 600 milioni di franchi. Il gruppo bernese ha un fatturato che si aggira verso il miliardo di franchi e nel 2023 ha realizzato un utile netto di 42 milioni di franchi. Quest’anno la situazione è più difficile: da gennaio a settembre il fatturato è sceso del 28,3% e l’acquisizione degli ordini è diminuita di un quarto. A fine settembre, l’azienda aveva così comunicato di voler sopprimere 500 posti di lavoro a livello globale sui 3’350, di cui 80 in Svizzera. In Lombardia ci si è subito attivati per capire se gli stabilimenti del Milanese fossero interessati dalla riorganizzazione. “Abbiamo ottenuto risposte attendiste e poco circostanziate. Dieci giorni dopo, però, ecco arrivare l’annuncio della cessazione di attività per due stabilimenti”, ci dice Giovanni Ranzini, segretario FIOM CGIL Milano.

Il primo incontro non ha portato ad alcun esito: “Abbiamo proposto delle alternative, come il ricorso agli ammortizzatori sociali, ma non hanno voluto sentire ragioni”, ci ha spiegato il sindacalista. Questa settimana si replica, con un nuovo incontro presso la regione Lombardia.

Il cioccolato di Intra

Sempre questa settimana, questa volta a Roma, si è tenuto un altro tavolo di crisi che coinvolge un’altra multinazionale svizzera attiva in Italia: Barry Callebaut, principale produttore di cioccolato industriale e trasformatore di fave di cacao del mondo. A settembre questo colosso basato a Zurigo ha annunciato di volere chiudere la fabbrica di Intra (Verbania), sulla sponda piemontese del lago Maggiore, attiva da cento anni. “Una decisione che è giunta come un fulmine a ciel sereno”, ci ha detto al telefono il sindaco di Verbania, Giandomenico Albertella. Per il primo cittadino, la scelta presa da Zurigo “non è accettabile nel merito e nel metodo” e avrà un impatto non da poco: “La città non è in grado di assorbire questa chiusura che impatterà anche su tutta la filiera dolciaria piemontese”.

uomini e donne davanti a una fabbrica con uno striscione
Anche davanti allo stabilimento della Barry Callebaut di Intra il personale ha indetto dimostrazioni. Federico Franchini

La fabbrica di cioccolato di Intra impiega attualmente 94 persone a tempo indeterminato e 27 interinali; l’indotto è stimato con un’altra trentina di posti di lavoro. Barry Callebaut l’ha acquistata nel 1999 da Nestlé e ne ha fatto il suo principale sito produttivo in Italia. “Hai presente la glassa che ricopre i gelati o i biscotti? Noi produciamo questo tipo di cose”. Ivan Axerio lavora qui da quindici anni ed è un delegato sindacale. Lo abbiamo incontrato fuori dallo stabilimento dove siamo venuti per farci un’idea della situazione. Tutti i dipendenti sono rimasti basiti quando la società ha annunciato l’imminente chiusura: “A maggio abbiamo avuto un incontro dove ci è stato detto che Intra era centrale per il gruppo. Quattro mesi dopo le stesse persone, senza preavviso, ci hanno convocato per dirci che chiuderemo”, spiega Ivan. Tra operai e operaie prevale l’amarezza, ma non certo la rassegnazione, come ci dice Rossella Criseo, anche lei delegata sindacale: “Lavoro qui da oltre 32 anni e non ho certo intenzione di stare con le mani in mano. Faremo di tutto per mantenere in vita questa fabbrica, anche cercando soluzioni alternative a Barry Callebaut”.

Ad inizio ottobre c’è stato un primo incontro a Roma, presso il Ministero delle imprese e del Made in Italy. Un tavolo di crisi che non ha portato a decisioni, ma ha permesso di prendere un po’ di tempo: “Abbiamo chiesto di sospendere i licenziamenti e di valutare tutti gli scenari, compresa la vendita del sito ad altri attori del mercato. Adesso aspettiamo”, ci ha detto Emilio Capacchione, segretario generale FAI CISL Piemonte. Certo è che la decisione presa da Zurigo ha suscitato preoccupazione in questa cittadina di circa 30’000 abitanti: “Questa decisione avrà un grosso impatto sociale sul territorio perché la fabbrica di cioccolato è uno dei pochi stabilimenti che riesce ancora a dare occupazione e reddito in questa zona periferica”.

“Creare valore per tutti gli azionisti”

Nel giugno 2022, Barry Callebaut è stata toccata da un grosso problema di contaminazione presso lo stabilimento belga di Wieze, il più grande di tutto il gruppo. Da quel momento le sue azionCollegamento esternoi hanno cominciato a scendere, perdendo ad oggi circa un terzo del loro valore. Per frenare questa tendenza, il gruppo ha nominato nell’aprile 2023 un nuovo CEO, il tedesco Peter Feld. Quest’ultimo è un uomo vicino alla famiglia Jacobs, dodicesima fortuna svizzera (patrimonio stimato: 12 miliardi di franchi) che tramite la propria holding zurighese detiene il 30% della multinazionale del cacao. Feld è stato chiamato con l’obiettivo esplicito di “creare valore per tutti gli azionisti”. Pochi mesi dopo la sua nomina, ha presentato un piano di riorganizzazione che prevede investimenti per 500 milioni di franchi e, contemporaneamente, una riduzione di costi annuali di 250 milioni. Lo scorso febbraio, la direzione ha dato qualche dettaglio in più annunciando la chiusura di due siti produttivi e il licenziamento di 2’500 dipendenti, di cui 900 in Europa.

È in questo contesto che va quindi inserita la scelta di chiudere la fabbrica di Intra. Sul Verbano, la sensazione è quella che il personale locale e la collettività debbano pagare per colpe altrui: “L’azienda non è stata trasparente e temo che la scelta di chiudere la fabbrica piemontese sia dettata da logiche finanziarie che nulla hanno a che vedere con l’economia reale”, chiosa amaramente Emilio Capacchione

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